In materia di compensatio lucri cum damno, l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso il terzo danneggiante

Dopo le quattro sentenze delle Sezioni Unite, tutte pronunciate nell’anno 2018 sul tema della compensatio lucri cum damno, la Terza Sezione Civile della Cassazione ha riconosciuto il diritto dell’assicurazione condannata a risarcire il danneggiato da un incidente stradale ad ottenere che dall’entità globale del danno risarcibile venisse detratta la somma corrispondente all’introito pensionistico a lui già erogato dall’INPS.

La vicenda

Era rimasto vittima di un incidente stradale mentre era a bordo della sua moto, investito da un altro motociclo privo di copertura assicurativa.

Agiva pertanto in giudizio contro il danneggiante, perché fosse condannato, in solido con il Fondo di Garanzia per le vittime della strada, al risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza del sinistro.

Nel processo si costituiva in giudizio la società di assicurazione, chiedendo che il danno fosse comunque liquidato entro il massimale, esercitando il diritto di regresso nei confronti dell’altro convenuto.

Interveniva anche l’INPS al fine di far valere il proprio diritto di surroga fino a decorrenza della somma pari al valore dell’assegno di invalidità già riconosciuto al danneggiato dal 2009; intervento, poi, dichiarato inammissibile per tardività della richiesta.

Cosicché il giudice di primo grado, in applicazione della presunzione di cui all’art. 2054 c.c., riconosceva la pari responsabilità dei due conducenti nella determinazione dell’evento e accoglieva la domanda del danneggiato, condannando i convenuti in solido al risarcimento di tutti i danni richiesti.

Accoglieva inoltre la domanda di regresso della società di assicurazione nei confronti del danneggiante.

Nel giudizio d’appello, la decisione veniva parzialmente riformata.

La corte territoriale aveva determinato nella misura del 75% la responsabilità del danneggiante nella causazione del sinistro e la restante 25% era stata attribuita alla vittima.

Allo stesso tempo, aveva respinto il motivo principale volto alla liquidazione del danno da invalidità temporanea a causa della tardività con cui l’interessato aveva prodotto la relativa documentazione medica.

Quanto invece, al danno alla salute, aveva innalzato la percentuale di invalidità permanente di quest’ultimo nella misura dell’85%, rideterminando così, nuovamente il danno.

Aveva, inoltre, respinto la domanda di personalizzazione del danno, affermando che la vittima non aveva dimostrato un grado di sofferenza maggiore rispetto a quello patito da altri soggetti nella sua stessa situazione (ciò sia quanto alla relazione sentimentale che alla necessaria interruzione dell’attività sportiva).

Ed infine, quanto al danno da lucro cessante, aveva osservato che il danneggiato, di professione elettricista, in seguito all’incidente, aveva perso la capacità lavorativa specifica, mantenendo solo una residua capacità lavorativa generica, di certo non idonea a compensare la perdita di guadagno a lui assicurato dal precedente impiego; non poteva, quindi essere riconosciuta  – contrariamente a quanto deciso dal giudice di prime cure – la compensatio lucri cum damno in ordine alla pensione erogata dall’INPS, trattandosi di somme provenienti da titoli diversi.

Ebbene è stato proprio questo il principale motivo di ricorso sui quali i giudici della Cassazione hanno dovuto pronunciarsi.

A proporre ricorso principale è stata la compagnia assicurativa, la quale tra gli altri motivi, lamentava il fatto che la corte territoriale avesse errato nel non aver riconosciuto la compensazione con quanto liquidato dall’INPS a titolo di trattamento pensionistico al danneggiato.

E a supporto della propria tesi difensiva, richiamava la decisione n. 13537 del 13 giugno 2014 pronunciata dai giudici della Cassazione, ove, in relazione ad una fattispecie analoga a quella in esame, avevano chiarito che la ratio del principio dell’operatività della compensatio lucri cum damno sta nell’evitare che il danneggiato finisca per cumulare il risarcimento e l’indennizzo, trovandosi così, dopo la liquidazione, in una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato se il fatto dannoso non si fosse verificato.

Ed in effetti, il ragionamento non fa una piega!

La Cassazione era stata già investita del ricorso in commento nel 2017 e, stante la necessità di affrontare la materia tutt’altro che agevole, dell’ammissibilità della cd. compensatio lucri cum damno, aveva rimesso la decisione alle Sezioni Unite.

Ebbene, le Sezioni Unite si sono pronunciate sull’argomento con quattro sentenze del 2018, le nn. 12564, 12565, 12566 e 12567.

Ma nessuna di queste ha affrontato direttamente la questione oggetto del ricorso. Tuttavia, i principi espressi sono stati sufficienti a consentire che i giudici della III Sezione Civile risolvessero la questione in commento.

La sentenza n. 12566/2018 delle Sezioni Unite

La sentenza che maggiormente si approssima, per la materia affrontata, al caso in esame – osservano i giudici della Corte – è la n. 12566. Nel caso di specie, era in discussione la compensabiltà della rendita INAIL derivante da infortunio in itinere.

Ebbene in tale pronuncia è stato enunciato il seguente principio di diritto: “l’importo della rendita per inabilità permanente corrisposta dall’INAIL per infortunio in itinere occorso al lavoratore va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile dell’illecito”.

Le Sezioni Unite, inquadrando il tema della compensatio alla luce dei principi generali e delle regole della responsabilità civile hanno affermato che ammettere o negare il cumulo non può essere frutto di una «mera operazione contabile», dovendo viceversa sempre aversi presente la «ragione giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale entrata nel patrimonio del danneggiato».

E hanno altresì aggiunto che tale verifica impone di accertare «se l’ordinamento abbia coordinato le diverse risposte istituzionali, del danno da una parte e del beneficio dall’altra, prevedendo un meccanismo di surroga o di rivalsa, capace di valorizzare l’indifferenza del risarcimento, ma nello stesso tempo evitare che quanto erogato dal terzo danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per l’autore dell’illecito».

I riferimenti normativi sono contenuti nell’art. 1916 c.c. secondo il quale «l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso il terzo danneggiate», da una parte, (disposizione che, peraltro, si estende anche alle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e le disgrazie accidentali) e l’art. 28 della L. n. 990/1969 (attualmente art. 124 D.Lgs. n. 209/2005) dall’altra.

Entrambe le norme si riferiscono alla successione nel credito risarcitorio dell’assicurato-danneggiato.

Non resta allora che interrogarsi sulla natura dell’istituto della surrogazione.

Nella citata sentenza le Sezioni Unite hanno chiarito che esso, mentre contente all’ente previdenziale di «recuperare dal terzo responsabile le spese sostenute per le prestazioni assicurative erogate al lavoratore danneggiato, impedisce a costui di cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di rendita assicurativa con l’intero importo del risarcimento del danno dovutogli dal terzo», consentendo al medesimo di agire solo per il c.d. danno differenziale, ossia quello non coperto dall’indennizzo.

Tali principi sono stati applicati anche al caso in esame ove il principio della compensazione era stato dapprima riconosciuto e poi negato in appello.

Peraltro la richiesta di intervento in giudizio da parte dell’INPS era stata dichiarata inammissibile per tardività della stessa e la decisione era passata in giudicato.

Ma secondo i giudici della Cassazione, al fine di risolvere la questione in commento, quello che conta non è che l’INPS fosse o meno parte in causa, quanto piuttosto, che essa avesse o meno il diritto di agire in surroga nei confronti del danneggiante.

In conclusione, facendo applicazione dei principi sopra espressi, i giudici della III Sezione Civile della Cassazione hanno riconosciuto il diritto dell’assicurazione ad ottenere che dall’entità globale del danno risarcibile al danneggiato venisse detratta la somma corrispondente all’introito pensionistico a lui erogato dall’INPS.

Che l’INPS poi avesse esercitato o meno la surroga non aveva importanza, perché il diritto si era comunque trasferito: ed è evidente che consentire al danneggiato di cumulare l’assegno di invalidità con l’intero risarcimento significa, di fatto, esporre l’assicuratore del responsabile civile all’obbligo di doppio pagamento per la medesima parte di danno.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 

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