Secondo gli Ermellini è onere dell’avvocato dimostrare di aver svolto l’attività professionale per la quale richiede il pagamento del compenso.

Con l’ordinanza n. 15930/2018 la Corte di Cassazione ha fornito precisazioni importanti sulla consulenza legale svolta dall’avvocato e sul relativo onere di provarla.

Per la Cassazione, infatti, grava sul professionista l’onere di dimostrare di aver svolto l’attività professionale per la quale richiede il compenso.

La vicenda

La Corte si è pronunciata sulla domanda di un avvocato. Questi  aveva chiesto che si condannasse un suo cliente, calciatore professionista, al pagamento dei compensi professionali.

Tali compensi erano maturati in relazione alla consulenza legale svolta nei suoi riguardi, in occasione della stipula del contratto con una società calcistica.

Ebbene, il Tribunale di Roma aveva deciso di rigettare tale domanda. Questo poiché riteneva che la consulenza legale svolta fosse da inquadrare nella attività di procuratore sportivo e non di avvocato. Tale conclusione è stata confermata anche dalla Corte d’appello.

Il calciatore, infatti, aveva sempre ribadito che l’avvocato aveva svolto il suo ruolo di procuratore sportivo.

Non solo. Agli atti era presenta una lettera sottoscritta dal legale che qualificava espressamente il credito vantato come derivante da un rapporto procuratorio calcistico. Fatto questo che deponeva in maniera inequivoca in senso contrario a quanto affermato dall’attore.

In merito ai riscontri documentali e testimoniali non era emerso nulla da parte dell’avvocato.

Pertanto, non avendo fornito prova della consulenza legale svolta, l’avvocato non avrebbe maturato il diritto al compenso preteso.

Ad analoga conclusione è giunta la Corte di Cassazione.

La Corte d’Appello ha richiamato il principio (cfr. Cass. n. 9254/2006) secondo cui l’onere di provare lo svolgimento dell’attività professionale incombe sullo stesso professionista.

A riguardo, la Cassazione afferma che la parcella predisposta dal professionista è priva di rilevanza probatoria nell’ordinario giudizio di cognizione.

Pertanto, costituisce una semplice dichiarazione unilaterale del professionista. Sebbene però assistita da una presunzione di veridicità.

Alla luce di ciò, essa può essere posta a fondamento della decisione solo laddove le “voci” in essa elencate non siano interessate da specifiche contestazioni del cliente.

Nel caso di specie, sull’avvocato incombe l’onere di dimostrare l’effettivo svolgimento dell’attività svolta nell’interesse del convenuto. Oltre alla sua corrispondenza a quanto riportato in fattura.

Quest’ultima può assumere una presunzione di veridicità. Ma solo se risulti dimostrata l’effettiva sussistenza di un mandato professionale di natura legale.

Il cliente, invece, aveva sempre contestato l’esistenza di un rapporto di assistenza legale. Egli aveva ricondotto l’attività svolta al diverso rapporto di procuratore sportivo.

Una conclusione cui hanno aderito i giudici di merito, secondo il loro insindacabile apprezzamento in fatto.

 

Hai avuto un problema simile? Scrivi per una consulenza gratuita a redazione@responsabilecivile.it o scrivi un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623

 

Leggi anche:

AVVOCATO AGISCE SENZA PROCURA: È TENUTO A PAGARE LE SPESE DI LITE?

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui