Confermata l’assoluzione di un farmacista accusato di aver eluso il pagamento dei diritti di autore per i brani musicali diffusi nel suo esercizio commerciale

In qualità di legale rappresentante di un esercizio commerciale era accusato di aver diffuso 553 brani musicali senza aver assolto agli oneri relativi ai diritti connessi di spettanza di una società consortile di fonografici. L’uomo, citato in giudizio, era stato assolto sia in primo grado che in appello. Secondo la  Corte territoriale, infatti, mancava l’elemento psicologico dell’elusione del pagamento dei diritti di autore.

L’imputato si era affidato a un music provider, ma dai documenti prodotti in giudizio non era chiaro quale fosse il contratto completo sottoscritto tra le parti. In particolare, non si evinceva con certezza quali fossero obblighi spettanti all’una o all’altra parte contraente.

Data la complessità della materia, secondo il Giudice d’appello, era evidente il dubbio relativo alla volontà del convenuto circa l’inadempienza all’obbligo nei confronti del consorzio. Tant’è che questi aveva dichiarato alla Guardia di Finanza di essere convinto che il music provider avesse provveduto al pagamento delle imposte previste.

La circostanza che  fosse laureato in farmacia, non rilevava quanto all’automatica conoscenza della materia tecnica del diritto d’autore e della proprietà intellettuale.

Nel ricorrere per cassazione, il Procuratore generale deduceva che l’invocato errore dovesse ritenersi irrilevante.

Più specificamente era estraneo alla fattispecie incriminatrice oltre che non giustificabile per gli obblighi d’informazione gravanti sull’imputato. Inoltre, a suo giudizio, non era condivisibile che la Corte territoriale avesse valorizzato “l’oggettiva complessità della materia, di nicchia e non nota a chiunque”. In questo modo, infatti, si sarebbe finito con il legittimare ampie sacche d’impunità in tutti quei settori di attività regolati da norme penali che presentano caratteri di peculiare complessità o più marcato tecnicismo.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 53316/2018 ha ritenuto di non aderire alle argomentazioni proposte. Nel soffermarsi sull’elemento psicologico del reato gli Ermellini hanno confermato che la condotta contestata richiedeva una consapevolezza e volontà di elusione che non era stata in alcun modo dimostrata in sede di indagine. Rispetto a tali aspetti il ricorrente non aveva presentato elementi specifici da cui dedurre il dolo, ma si era limitato a disquisire sull’inescusabilità dell’errore. Da qui il rigetto del ricorso in quanto infondato.

 

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