Il Consiglio di Stato, sez. IV, n°1209 del 2.3.2012, ha affermato che il divieto di abuso del diritto diviene anche abuso del processo, inteso quale esercizio improprio, sul piano funzionale e modale, del potere discrezionale della parte di scegliere le più convenienti strategie di difesa. Nel nostro sistema giuridico vige un generale divieto di abuso della posizione dominante soggettiva, il quale, ai sensi dell’art. 2 Cost. e dell’art. 1175 c.c., pervade le condotte sostanziali al pari dei comportamenti processuali di esercizio del diritto.

L’abuso del diritto si applica anche in chiave processuale; in tal modo diviene anche divieto di abuso del processo, inteso quale esercizio improprio del potere discrezionale della parte di scegliere le più convenienti strategie di difesa.

Il nostro ordinamento è carente di una precisa definizione di abuso del processo. Dottrina e giurisprudenza hanno proteso a considerarlo nel tempo quale proiezione dell’abuso del diritto, incentrata negli artt. 88 e 145 del c.p.c., i quali impongono il dovere di lealtà e probità tra le parti ed al giudice il dovere di esercizio del potere finalizzato ” al più sollecito svolgimento del processo”.
Si tratta, però, di una base testuale precaria in quanto alla previsione dell’art.88 c.p.c. non corrisponde un adeguato apparato sanzionatorio. Solo il codice deontologico forense contiene un’azione disciplinare a carico dell’avvocato, effettivamente esercitata dal Consiglio dell’ordine raramente ed in casi eclatanti.

La Corte di Giustizia Europea ha ribadito, il 5.7.207, con sentenza n° C.321 del 2005 il divieto dell’abuso del diritto tra i principi generali dell’ordinamento comunitario ponendolo, così, tra i vertici delle fonti del diritto all’art.6 del Trattato del U.E.

La Cassazione, sez.III, nella sentenza n°20106 del 18.9.2009 ravvisa l’abuso del processo “nel collegamento tra il potere conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede”. Ancor più recentemente la Cassazione ha riunito due procedimenti, la sez. V civile n°7195 del 9.9.2015, stabilendo l’unicità del fatto illecito rispetto a due distinti giudizi instaurati innanzi a diversi giudici in quanto per i sinistri stradali la richiesta di risarcimento danni alla persona ed al mezzo non vanno separati.

I giudici intervenuti in diverse occasioni sono impegnati ad un bilanciamento tra opposte esigenze; il diritto di azione, previsto all’art. 24 e gli artt. 2 e 111 della Cost, ovvero il diritto ad un giusto processo ed il principio di solidarietà sociale citato.

La giurisprudenza ha individuato in particolare quattro astratte ipotesi; innanzitutto il frazionamento del diritto di credito, infatti di recente i giudici della Cassazione, sez.IV, hanno emanato la sentenza n° 4702 del 9.3.2015 riguardo la violazione dei principi di correttezza, buona fede e del giusto processo; così anche la Cassazione civ n°10177 del 18.5.2015, per cui anche nella fase giudiziaria l’adempimento non può essere ottenuto aggravando la posizione del debitore scindendo il contenuto dell’obbligazione.

Successivamente gli interpreti hanno individuato come abuso del processo l’uso deviato o indiretto degli strumenti processuali. Al riguardo si fa riferimento al caso del regolamento preventivo di giurisdizione utilizzato al fine prevalente o esclusivo di ottenere la sospensione del processo di merito piuttosto che una decisione giurisdizionale; ex multis Cassazione n°15476 del 11.6.2008 e Cassazione n°13791 del 27.5.2008.

Mentre per il giudice l’uso deviato dello strumento processuale è sempre atto illecito, per il difensore, il quale non ha funzione pubblica, l’uso deviato degli strumenti processuali costituisce un comportamento deontologicamente contrario alla lealtà e probità prevista all’art. 6 del Codice forense.

Autorevole dottrina ha ravvisato l’ipotesi di abuso del processo dinanzi al comportamento sorretto della parte, come nel caso dell’uso indiretto dello strumento processuale qualora risulti un’attività reticente, dilatoria o comunque in contrasto allo standard di diligenza media del professionista. A tal proposito, però, non sussiste un dovere di completezza o di verità per il difensore secondo la miglior dottrina, Scarselli, lealtà e probità degli atti processuali, Riv. Trim. dir. proc. civ., 1998 e Calamandrei, “Parere dell’Università di Firenze al Ministro di Grazia e Giustizia sul Progetto preliminare del co. proc. civ.”, FI, 1937) in quanto un tale obbligo non è prospettabile perché in contrasto con lo stesso concetto di parte, snaturandone funzione e ruolo.

Infine anche il giudice discrezionalmente può ravvisare un comportamento di abuso del processo, come ipotesi residuale e di chiusura prevista dall’art. 96 c.p.c., 3° co. Con tale norma sembrerebbe che il legislatore abbia inteso agevolare la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte che ha posto in essere una lite temeraria, senza voler introdurre nel sistema un nuovo istituto che stabilisse il quantum del danno subito da lite temeraria. Il giudice comunque può procedere d’ufficio e liquidare il danno in via equitativa, laddove sussista, appunto, una lite temeraria, un danno esistente ed il relativo nesso di causalità.

In conclusione si può affermare che l’abuso del diritto e quello del processo sembrano sovrapporsi e de iure condendo si potrebbe introdurre una norma che sanzioni specificatamente l’abuso del processo, rimettendo direttamente la sanzione ed i danni al difensore che ha commesso l’illecito processuale, ex artt. 88, 89 e 96 c.p.c., anziché alle parti che per rivalersi, a tutt’oggi, devono agire con separato giudizio contro il proprio difensore.

Si segnala che recentemente è stato approvato il D.L: n° 90 del 24.6.2014 ” Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e l’efficienza degli uffici giudiziari”, che all’art 41 rubricato “Misure per il contrasto dell’abuso del diritto” apporta modifiche all’art. 26 del codice del processo amministrativo, sottolineando l’attenzione del legislatore riguardo quello che è stato definito “l’elemento dinamico del processo evolutivo del diritto” dall’elaborazione giurisprudenziale.

 

Dott. Vincenzo Caruso

 

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