A distanza di 10 anni dall’ultimo contagio, la notizia di due casi di colera a Napoli allarma i cittadini. Si tratta di una mamma e di un bimbo tornati dal Bangladesh

A Napoli, due casi di colera stanno mettendo in allarme i cittadini. A essere contagiati sono una mamma e un bambino appena rientrati da un viaggio in Bangladesh.

E si tratta dei primi due casi di colera in Italia dopo ben 10 anni. Oggi, come allora, si tratta di pazienti che hanno contratto la malattia all’estero. I due sono ricoverati nell’ospedale Cotugno di Napoli.

L’azienda sanitaria ha comunque rassicurato tutti affermando che la situazione è sotto controllo.

Anche l’Istituto superiore di sanità ci ha tenuto a intervenire sulla vicenda.

“Essendo due casi di importazione, – afferma l’ISS – il rischio di diffusione su larga scala non c’è”.

La famiglia di immigrati risiede a Sant’Arpino, in provincia di Caserta. Le condizioni della donna non destano alcuna preoccupazione.

Quelle del bimbo invece sì. Inizialmente era stato ricoverato in terapia intensiva: ora le sue condizioni sono migliorate, ma la prognosi resta riservata.

Al Cotugno è ricoverato in osservazione anche un fratellino del piccolo paziente, di quattro anni.

Il bimbo, secondo i primi accertamenti, non avrebbe contratto il colera, ma ha presentato alcuni sintomi che spingono i medici a trattenerlo in ospedale.

Il commissario straordinario dell’azienda ospedaliera, Antonio Giordano, afferma che “i contatti familiari sono stati individuati e sono ora sotto stretta osservazione sanitaria”.

Il vibrione del colera è stato isolato nelle feci dei due pazienti; i campioni sono stati inviati anche all’Iss, per ulteriori analisi e la caratterizzazione dei ceppi.

Secondo Gianni Rezza, del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, non c’è da preoccuparsi in merito a questi due casi di colera.

“Questi due casi – afferma – non fanno paura e non rappresentano un problema. Importante è l’isolamento in ospedale dei due pazienti e rintracciare le persone che potrebbero aver avuto contatti stretti con loro. Diverso sarebbe stato se si fosse trattato di una malattia a trasmissione aerea”.

Come noto, infatti, la malattia contrae per ingestione di acqua o alimenti contaminati dal batterio, oppure per trasmissione oro-fecale.

 

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