Avviato uno studio internazionale all’Università di Siena sullo strano caso della famiglia senza dolore da tre generazioni

Non sentire dolore? A quanto pare si può. Ne è la prova il caso della famiglia senza dolore. L’Università di Siena in collaborazione con altri ricercatori ha avviato uno studio per approfondire il tema aprendo nuove prospettive alla cura del dolore cronico.

Una storia lunga tre generazioni

La mamma 78enne, le sue due figlie di mezza età e i loro tre figli, 2 maschi e una femmina anni sono i componenti della famiglia senza dolore.
Diversi gli episodi che provano questa condizione. Una delle donne ha rotto la spalla mentre sciava e ha continuato imperterrita ad andare sulla neve e solo il giorno dopo è andata in ospedale. Uno di loro si fratturato il gomito sinistro in bici ma è continuato lo stesso ad andarci per due giorni.

Perché sono insensibili al dolore?

Dalle ricerche effettuate emerge che i componenti della famiglia sono insensibili al dolore a causa di una rarissima sindrome provocata della mutazione del gene ZFHX2.
La rarissima sindrome provoca una particolare insensibilità: mancanza di dolore nel caso di fratture ossee e di bruciature, e scarsa termoregolazione corporea.
La “Marsili syndrome” – dal cognome della famiglia studiata – è stata identificata per la prima volta nel 2008 all’università di Siena e descritta in un articolo di Giacomo Spinsanti.
Le nuove ricerche hanno permesso di riprodurre la sindrome sul topo, intervenendo sullo stesso gene, prima eliminandolo e poi inducendo la mutazione genetica oggetto dello studio.

Una possibile cura per il dolore cronico

La ricerca pubblicata sulla rivista internazionale ‘Brain‘, Oxford University Press vede tra gli autori Anna Maria Aloisi del Dipartimento di scienze mediche, chirurgiche e neuroscienze dell’ateneo senese. Altra autrice, sempre dell’università di Siena, Letizia Marsili.
La Dottoressa Aloisi da anni si occupa dello studio del dolore, promuovendo anche la Scuola internazionale per lo studio del dolore cronico.
Grazie a questa scoperta si aprono nuove prospettive per la lotta e il trattamento del dolore cronico.
Una patologia molto diffusa che colpisce in forme diverse circa il 30% della popolazione in Europa che non trovano un aiuto risolutivo nei farmaci esistenti.
 
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