Se l’oggetto della conversazione non è pertinente all’attività svolta, cade il divieto di utilizzo delle intercettazioni tra cliente e professionista

Il divieto di utilizzo delle intercettazioni tra cliente e professionista, stabilito dall’art. 271 c.p.p., cade laddove la conversazione intercettata non sia pertinente all’attività svolta dalle figure professionali indicate dalla normativa; o ancora, qualora non riguardino fatti conosciuti per ragione della professione da queste esercitata.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione penale,  pronunciandosi sul ricorso presentato da un contribuente accusato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

L’uomo era accusato di aver trasferito all’estero una serie di beni e proventi della sua attività, sottraendosi al pagamento delle imposte con il fisco italiano.

L’illecito era emerso, in particolare, dalle intercettazioni telefoniche realizzate sulla utenza in uso al suo commercialista. Era stato proprio quest’ultimo, secondo l’ipotesi accusatoria,  ad aver ideato il sistema per rendere inefficace ogni forma di riscossione delle imposte evase.

Il contribuente si era quindi rivolto alla Suprema Corte. L’uomo contestava l’utilizzabilità ai fini delle indagini delle risultanze delle intercettazioni telefoniche e ambientali operate a carico del suo commercialista; intercettazioni che avevano ad oggetto le sue conversazioni con il professionista.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno chiarito che il divieto previsto dall’art. 271 c.p.p.  è “posto a tutela dei soggetti indicati nell’art. 200, comma primo, c.p.p.”. La norma tutela, altresì, “l’esercizio della loro funzione professionale, ancorché non formalizzato in un mandato fiduciario, purché detto esercizio sia causa della conoscenza del fatto”. Un libero professionista, infatti,  ben potrebbe venire a conoscenza di fatti relativi a soggetti dai quali non sia stato formalmente incaricato di alcun mandato professionale”.

Di conseguenza, il divieto sussiste ed è operativo quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate riguardino fatti conosciuti in ragione della professione esercitata.

Nel caso in esame, invece, le intercettazioni eseguite non riguardavano l’attività professionale svolta dal commercialista dell’indagato; né si riferivano alla cura degli interessi patrimoniali di quest’ultimo.

Esse avevano ad oggetto, invece, un’attività illecita, che esulava i limiti dello svolgimento di una incarico professionale; questo presuppone la piena liceità della condotta tenuta.

Sulla base di tali motivazioni la Suprema Corte, con sentenza n. 14007/2018,  ha ritenuto di respingere l’impugnazione del contribuente, condannando il ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

 

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