La diffamazione sui social network e sui portali online ha delle conseguenze. In questo articolo, si analizzeranno i casi di Facebook e TripAdvisor

L’era della digitalizzazione ha portato alla diffusione dei social network, quali Facebook (certamente il più conosciuto), LinkedIn, Twitter, nonché dei portali di recensioni, quali TripAdvisor, Airbnb, e la liberta degli utenti di esprimersi senza controlli genera guai come quelli conseguenti al reato previsto dall’art.595 c.p., ossia la diffamazione aggravata.

Quanti di noi, allorquando si trovano in una città diversa dalla propria, scelgono ad esempio il ristorante dove consumare un pasto tramite le recensioni postate su TripAdvisor ovvero tramite le foto del cibo caricate, che ci consentono talvolta di ordinare una pietanza senza neppure sfogliare il menù ?

Insomma, questo mondo “social” presenta – come peraltro ogni cosa – i suoi pro ed i suoi contro ed il nostro Ordinamento Giuridico non può fare altro che adeguarsi.

In questo breve articolo, dunque, ci occuperemo del delitto di diffamazione, consumato tramite la rete di accesso pubblico internet, illustrando l’orientamento maturato dalla Suprema Corte di Cassazione, soffermandoci in particolare sul social network più conosciuto, ossia Facebook, e sul portale di recensioni più gettonato, ossia TripAdvisor.

Innanzitutto, così come oramai pacificamente asserito dalla Giurisprudenza di Legittimità e da quella di Merito, gli insulti perpetrati nei confronti di un soggetto, pel tramite del social network Facebook, configurano senza alcuna ombra di dubbio il delitto di diffamazione, aggravato dalla diffusione dell’offesa con il mezzo della pubblicità.

Invero, il reato di diffamazione aggravata, ex art. 595 co. 3 c.p., che presuppone la presenza di almeno due (o più) persone ad ascoltare ovvero a leggere l’insulto, risulta integrato dal fatto che Facebook è una “piazza aperta” e, pertanto, l’offesa all’onore ed al decoro del querelante è visibile da parte di una “moltitudine indeterminata di soggetti” ovvero, comunque, in numero “quantitativamente apprezzabile”, definiti tecnicamente “utenti”, iscritti appunto alla pagina web ove vengono pubblicati gli epiteti diffamatori (cfr. sul punto Cass. Pen. Sez. 1° n° 16712/2014; Tribunale di Ivrea, Sent. n° 139/2015; Cass. Pen. Sez. 1° n° 24431/2015).

In altre parole, la pubblicazione in un gruppo Facebook ovvero sulla pagina personale di un utente di un post offensivo all’onore ed al decoro di quella persona, configura in capo all’autore dell’offesa il delitto di diffamazione aggravata ex art. 595 co. 3 c.p. con la conseguenza che la persona offesa potrà adire l’Autorità Giudiziaria penale tramite la denuncia/querela ovvero avanzare, in sede civile, richiesta di risarcimento del danno, la quale viene infine quantificata sulla scorta di taluni parametri, quali appunto il tempo di pubblicazione del post offensivo, il numero utenti che visitano/che risultano iscritti a quella pagina.

Analogo ragionamento giuridico vale anche per TripAdvisor.

Ebbene, detto ciò, quale responsabilità sussiste in capo agli amministratori dei social network ovvero in capo agli amministratori dei portali di recensioni ?

Il tema è stato dibattuto dinanzi l’Antitrust ed affrontato sia dalla Dottrina e dalla Giurisprudenza, di Legittimità e di Merito.

In particolare, risulta pacificamente affermato che non può effettuarsi il medesimo ragionamento logico giuridico seguito per la diffamazione a mezzo stampa, la quale prevede la responsabilità colposa anche del direttore del quotidiano, per omesso controllo sul contenuto dell’articolo redatto dal giornalista.

Infatti, nel caso dei social networks ovvero dei portali di recensione, in ragione dei milioni di utenti che in qualsiasi momento e da qualsiasi parte del mondo possono pubblicare anche contemporaneamente scritti offensivi, lesivi appunto dell’onore e del decoro di un soggetto e trattandosi dunque di c.d. “hosting providers”, il concreto controllo da parte degli amministratori diventa impossibile, con la conseguenza che a carico dei predetti alcun giudizio penale ovvero civile si potrà instaurare.

In conclusione, gli amministratori degli hosting providers saranno esenti da responsabilità, per contro saranno suscettibili di azione penale ovvero di azione civile gli autori del post offensivo.

 

 

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

 

 

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