Da un punto di vista scientifico, non ci sono ancora delle evidenze che attestino la validità o i benefici a lungo termine della lotus birth, solo le testimonianze delle mamme che hanno scelto una pratica che da poco tempo si sta diffondendo anche nelle strutture pubbliche.

Come a Forlì, all’ospedale Morgagni–Pierantoni. Responsabile Civile ha raggiunto il primario del reparto di Ginecologia e Ostetricia della struttura, il dr Claudio Celestino Bertellini che ci racconta di questa pratica. “Finora – dice Berlettini – sono stati eseguiti due parti lotus. Non è una pratica tanto richiesta, noi siamo disponibili a praticarla. Dal punto di vista scientifico non ci sono riconoscimenti ed è per questo che si stanno muovendo un po’ le varie istituzioni e le varie società. È in corso un lavoro multicentrico che riguarda i centri dell’Emilia Romagna che consiste nel verificare se c’è un rischio maggiore di infezioni del bambino e della mamma legato a questo tipo di procedura. Un lavoro che parte dall’Università di Modena e noi aderiamo. Nel caso in cui si presentassero delle donne con queste richieste parteciperemmo con i casi che ci si presentano a questo lavoro”.

“Da un punto di vista scientifico – prosegue – ripeto non esistono dei dati che trattano in maniera adeguata i canoni di sicurezza o la reale utilità di questa procedura. Chi la propugna sostiene che vi siano dei vantaggi per il bambino ma non vi sono fondamenti scientifici. Per avere dei dati occorrerebbe fare dei controlli, dei doppi controlli, con un numero di casi maggiore rispetto a quelli che abbiamo oggi, che oltre a essere pochi sono sparsi, a parte quelle che partoriscono a casa ma sfuggono a questo studio”.

I nostri casi non hanno avuto problemi – precisa Berlettini – il decorso è stato regolare e i bambini sono stati bene, il cordone si è staccato 4 – 5 giorni dopo la nascita. Il cordone viene lasciato se non ci sono problemi. È da sottolineare che le donne che vengono a partorire da noi fanno un primo accesso una settimana prima del parto previsto, vengono valutate ed esprimono eventuali richieste, come il lotus appunto. Al momento del parto si conosce già quindi la cartella clinica della partoriente. Per quanto mi riguarda se i dati scientifici che emergeranno rivelano che non ci sono rischi infettivi non c’è nessuna preclusione a una pratica come questa. È importante per una questione di autodeterminazione della mamma, ripeto laddove non ci siano rischi per lei e il bambino, ha tutta la nostra considerazione”.

Per arricchire il quadro Responsabile Civile si è rivolta anche a Mauro Paccosi, specialista in ginecologia all’ospedale Santo Spirito di Roma, in tema di lotus birth. Il suo parere in merito è decisamente contrario e paventa la possibilità di “vendere superstizioni”.

“Le future mamme sono poi particolarmente sensibili e affascinabili – dice Paccosi – da ogni cosa che promette  miglioramenti per il futuro del proprio bambino, e questo certa gente lo sa benissimo. La placenta non serve a niente dopo i primi minuti dalla nascita. Non manda nulla dopo che il cordone smette di pulsare. Non manda sensazione perché non possiede nervi. E’ un tessuto morto che può solo infettarsi, nonostante il sale che andrebbe posto per la conservazione. E’ una pratica scomoda  per lavare il bimbo e quindi  per niente igienica. Scomoda anche per l’ allattamento”.

“Da sempre – porsegue il dr Paccosi – in tutte le culture il cordone si taglia, è una misura igienica ovvia. Lo fanno ovviamente anche gli animali  che spesso eliminano la placenta mangiandola (i carnivori) per riprendere alimento e soprattutto non potendo allontanarla dalla  sede della cucciolata, altrimenti putrefacendosi ucciderebbe per infezione i neonati. Purtroppo la  magia  è sempre dentro il cervello dell’uomo, anche civilizzato… ” il selvaggio della porta accanto “, ma questo neanche i selvaggi lo fanno… hanno millenni di esperienza dalla loro”.

Laura Fedel

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