La Cassazione chiarisce l’importanza della proporzionalità dell’onere della prova contraria in presenza di presunzione legale a favore dell’Ufficio

Secondo la sentenza n. 7259/2017 della Corte di Cassazione, l’onere della prova contraria liberatoria in capo al contribuente in presenza di una presunzione legale a favore dell’Ufficio, deve essere sempre adeguato alla natura e alla consistenza degli elementi indiziari apportati dall’Ufficio stesso: più essi sono consistenti, maggiore è l’onere della prova contraria richiesta al contribuente.
Nel caso di specie preso in esame dai giudici, un contribuente aveva subito una rettifica del proprio reddito sulla base di accertamenti bancari con ripresa a tassazione dei versamenti sul conto corrente personale.
A quel punto, l’Ufficio accertatore si è avvalso della presunzione legale di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, richiedendo al contribuente la giustificazione materiale di ogni singolo versamento eseguito sul conto corrente a lui intestato.
Questi, però, ha sostenuto che le somme versate derivavano da prelevamenti sul conto corrente aziendale, dedotti gli importi che venivano trattenuti per le spese di ordinaria amministrazione personale e familiare.
Il ricorso del contribuente è stato quindi accolto, in primo grado, dalla Commissione Tributaria Provinciale.
Tuttavia tale decisione è stata impugnata dalla Agenzia delle Entrate con atto di appello, accolto dalla Commissione Tributaria Regionale adita.
La questione è quindi giunta in Cassazione, a seguito del ricorso presentato dal contribuente danneggiato.
I giudici hanno accettato il ricorso con la seguente motivazione: “Prioritaria appare la trattazione relativa alla asserita violazione di legge, in relazione all’art. 38 del DPR 600/1973 e agli artt. 2727 del c.c., 2729 del c.c. e 2697 del c.c., per vizio del ragionamento presuntivo, non avendo la Corte territoriale adeguatamente valutato la documentazione offerta dalla parte al fine di escludere la ripresa a tassazione degli importi relativi ai versamenti sul conto corrente”.
I giudici, in merito all’ onere della prova contraria, sostengono che alla luce della condivisa giurisprudenza di legittimità “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e i conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica, ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Sez. 5, n. 15857 del 29/07/2016 , Rv. 640618 – 01)”.
Ma non è tutto. La sentenza ha anche specificato la necessità di una adeguata giustificazione da parte del titolare dei conti. “Invero, i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare di detti conti non fornisca adeguata giustificazione, ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, poiché questa previsione e quella di cui all’art. 38 del medesimo d.P.R. hanno portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività svolta e dalla quale quei redditi provengano”.
La Suprema Corte, quindi, dopo aver premesso che gli uffici sono autorizzati ad avvalersi della “prova per presunzione”, ha ricordato che il fatto da accertare è se le movimentazioni appaiano con certezza significative di un reddito non dichiarato.
I giudici, infatti, osservano: “Ribadito che in tema di accertamenti in rettifica ai fini IRPEF gli uffici competenti sono autorizzati, ai sensi degli artt. 37 e seguenti del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ad avvalersi della “prova per presunzione”, la quale presuppone la possibilità logica di inferire da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare (con conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente il quale, ove intenda contestare l’efficacia presuntiva dei fatti addotti dall’ufficio a sostegno della propria pretesa, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano) nella fattispecie occorreva verificare se i versamenti giustificati dal contribuente come sostanziali giroconti non appaiono con certezza significativi di un reddito non dichiarato, fermo restando che l’onere della prova liberatoria, per il contribuente, si commisura alla natura ed alla consistenza degli elementi indiziari contrari impiegati dall’amministrazione”.
Alla luce di tali considerazioni, dunque, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso.
 
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