La Corte di Cassazione si è espressa in merito alla segnalazione come cattivo pagatore e alla sua legittimità in Centrale Rischi

La segnalazione come cattivo pagatore è legittima in Centrale Rischi?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16659 del 6 luglio 2017, si è espressa a riguardo, fornendo alcune interessanti precisazioni in tema di risarcibilità del “danno non patrimoniale”.

Per i giudici, in caso di segnalazione come cattivo pagatore, è necessario dimostrare alcuni elementi.

La condotta illecita, l’ingiusta lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento, il nesso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso e la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato una banca a risarcire “il danno non patrimoniale per lesione al diritto alla immagine”.
Questo era stato subito da una società a seguito della erronea segnalazione di debiti insoluti. I debiti erano relativi al pagamento di canoni di leasing, “con conseguente iscrizione della società commerciale tra i debitori inadempienti nel registro della banca dati privata”.

Per tale società, in sostanza, vi era stata erroneamente una segnalazione come cattivo pagatore.

Di conseguenza, la banca era stata condannata a risarcirle il danno all’immagine subito.
Secondo la Corte d’appello, infatti, il danno all’immagine era consistito “nella concreta percepibilità della informazione negativa”, la quale avrebbe potuto pregiudicare l’accesso al credito da parte della società.
La banca, ritenendo la decisione ingiusta, si era rivolta alla Corte di Cassazione facendovi ricorso.
Secondo la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che “la durata (oltre due mesi) della permanenza della errata segnalazione nella banca-dati” avesse causato “una concreta interferenza sulle esigenze di accesso al credito”.

Per i giudici di Cassazione, tuttavia, non era così e hanno giudicato infondato il ricorso.

L’illecito produttivo di un danno non patrimoniale, infatti, è rappresentato da una qualsiasi condotta materiale che comporti la violazione di un “interesse giuridicamente suscettibile di protezione secondo l’ordinamento giuridico”.
Violazione che la Cassazione non ha riscontrato ai fini della rilevanza della risarcibilità del danno.
In ogni caso, ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale, secondo la Cassazione è sempre necessario dimostrare una serie di elementi.
Prima di tutto la condotta illecita e l’ingiusta lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento. E poi il nesso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso. Infine, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso.
Secondo la Cassazione il danno non patrimoniale deve essere “specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, anche mediante presunzioni”.
Ciò perché non può considerarsi implicitamente sussistente.
Pertanto, la Corte d’appello aveva rispettato i principi sopra enunciati.
La stessa aveva accertato “gli effetti pregiudizievoli di natura non patrimoniale prodotti dalla condotta illecita della banca consistiti (…) nella situazione in cui si era venuta a trovare la società nell’ambiente in cui operava (…) che la qualificava come soggetto economico se non impresentabile comunque a ridotta affidabilità rispetto alle società regolarmente adempienti agli obblighi restitutori delle rate di finanziamento o dei canoni di leasing”.
Con tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla banca.
Inoltre ha confermato la sentenza resa dalla Corte d’appello e condannando la banca anche al pagamento delle spese processuali.
 
 
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