Quali conseguenze ci sono per chi decide di dare fuoco alle erbacce in un campo? È un’azione lecita o no? Ecco il parere della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 56277/2017, ha fatto il punto circa l’atto di bruciare rifiuti vegetali e le sue possibili implicazioni illecite.

Per i giudici, infatti, non è legittimo bruciare sterpaglie se la combustione avviene nello stesso luogo in cui si trovano le erbacce e se queste non sono chiaramente destinate al reimpiego come concime.

La vicenda

Nel caso di specie, un soggetto era stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 256 del d. lgs. n. 152 del 2006 (gestione abusiva di rifiuti).

L’uomo, infatti, era titolare di un’impresa individuale “avente ad oggetto la sistemazione di parchi, giardini ed aiuole”.

Ebbene, costui, in varie occasioni, oltre ad aver trasportato e abbandonato erbacce, si era occupato di bruciare rifiuti vegetali, prodotti altrove. La combustione era poi avvenuta “in assenza di valido titolo abilitativo”.

L’imputato si era quindi rivolto in Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo l’uomo, il giudice lo avrebbe ingiustamente. Ciò in quanto, a suo avviso, non era dimostrato “che i materiali scaricati e bruciati provenissero da terreni diversi da quello in cui tali operazioni venivano effettuate”.

Tuttavia, gli Ermellini hanno ritenuto infondato il ricorso dell’uomo, rigettandolo.

Infatti, in base agli accertamenti effettuati in corso di causa, era emerso che il Corpo Forestale dello Stato aveva avuto notizia degli episodi di abbandono e bruciamento di rifiuti vegetali oggetto di contestazione.

Non solo. Dalle indagini era emerso che il terreno in questione, dove l’uomo aveva deciso di bruciare i rifiuti vegetali, era stato affidato dal proprietario proprio all’imputato.

L’affidamento era avvenuto allo scopo di tenere in ordine il terreno e lo sorvegliasse. Il tutto con “facoltà di accogliere e trattenere i frutti prodotti dagli alberi ivi esistenti”.

Oltre a ciò, la Corte contestava all’imputato che la condotta illecita da lui tenuta era stata rilevata “da un apparecchio fotografico attivato da un sensore di movimento”.

In base a tali considerazioni, gli Ermellini hanno ritenuto che il Tribunale avesse correttamente disposto la condanna dell’imputato.

Questo in quanto il materiale vegetale bruciato “non era prodotto sul terreno ove avveniva la combustione ed, inoltre, questa non era evidentemente finalizzata al reimpiego come concime o ammendante dei residui, bensì alla mera eliminazione del rifiuto”.

Pertanto, la Cassazione ha deciso di rigettare il ricorso del soggetto, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.

 

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