In caso di separazione, esiste la possibilità, per il coniuge tradito di ricevere un risarcimento dei danni, patrimoniali e non, ma questi devono essere specificamente dimostrati. 

Secondo l’ordinanza n. 4470/2018 della Corte di Cassazione, il coniuge tradito potrebbe anche ricevere un risarcimento dei danni, patrimoniali e non, in virtù dell’art. 2059 Cc. Ma la condizione fondamentale è quella di poter dimostrare il danno in questione. 

Occorre premettere che i doveri derivanti ai coniugi dal matrimonio non trovano esclusivamente rimedio nelle ipotesi tipiche previste dal diritto di famiglia. E, in particolare, dall’addebito della separazione.

Questo perché laddove il comportamento di uno dei coniugi abbia cagionato nell’altro la lesione di diritti costituzionalmente protetti, è possibile configurare in tale casi un illecito civile.

Illecito che, come tale, può far sì che all’ex coniuge tradito spetti un risarcimento.

E questo a prescindere dalla eventuale mancata pronuncia di addebito in sede di separazione o dall’intervenuta declaratoria di separazione consensuale.

Per i giudici, infatti, non ci sono dubbi sul fatto che la dignità e l’onore dei coniugi rientrano nel novero dei beni costituzionalmente protetti.

Tuttavia, affinché all’ex coniuge tradito spetti tale risarcimento del danno, quest’ultimo deve essere specificamente allegato e provato.

Nel caso di specie, una sentenza del Tribunale di Roma aveva dichiarato la separazione giudiziale dei coniugi, addebitandola al marito.

Era poi stata rigettata la richiesta di risarcimento danni avanzata dalla moglie. Un risarcimento relativo agli asseriti danni causati dalla condotta tenuta dal marito durante il matrimonio.

L’uomo l’aveva infatti tradita venendo meno ai suoi diritti, costituzionalmente garantiti, quali la dignità, la riservatezza, l’onore, la morale. Ma anche la reputazione, la privacy, la salute e l’integrità psicofisica.

Dunque, sul gravame proposto da entrambi i coniugi, la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha modificato la misura del contributo per il mantenimento della moglie e per le spese della figlia. Tuttavia, ha rigettato gli appelli per il resto, compresa la domanda di risarcimento danni.

La moglie ha dunque fatto ricorso in Cassazione. Nel merito, ha evidenziato la violazione degli artt. 2043 e 2059 Cc, lamentando che la corte di merito avrebbe dovuto riconoscerle il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali arrecati.

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha ricordato come il giudice d’appello “ha espressamente riconosciuto che i doveri derivanti ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, ben può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’ art. 2059 c.c. (Sez. 1, Sentenza n. 18853 del 15/09/2011, Rv. 619619 – 01)”.

Tuttavia, la stessa aveva correttamente evidenziato la lesione dei diritti quali la dignità e l’onore della donna dal comportamento del marito.

“Ciò nonostante il collegio d’appello ha negato il risarcimento invocato sul presupposto che la lesione dei diritti inviolabili della persona, costituendo un danno conseguenza, doveva essere specificamente allegato e provato”.

Pertanto, secondo la Corte, tale tipo di danno non può mai ritenersi “in re ipsa”. E ciò atteso che, pur nella ricorrenza di diritti costituzionalmente garantiti, è onere del danneggiato allegare e provare, l’evento dannoso patito.

Per tali ragioni il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La ricorrente è stata infine condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

 

 

 

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