La Corte di Cassazione ritiene che i danni punitivi possano essere riconosciuti anche in Italia benché siano un istituto di derivazione anglosassone

E’ a Sezioni Unite che la Corte di Cassazione si è espressa, con la sentenza n. 16601/2017, sull’applicazione dei danni punitivi nel nostro ordinamento per il tramite di riconoscimento di una sentenza straniera. Il caso riguarda la società NOSA Inc., con sede in Florida, la quale aveva venduto un casco prodotto dalla società AXO e distribuito da HELMET HOUSE. Tale casco, essendo affetto da un vizio, ha causato delle lesioni personali al motociclista che lo indossava in una gara di motocross, durante la quale è avvenuto un incidente. La Nosa, accettando la proposta transattiva del motociclista, gli ha corrisposto un indennizzo da un milione di euro, ma al contempo ha effettuato una domanda di garanzia dinanzi al giudice americano, nei confronti del produttore, ovvero la società AXO. Il giudice americano ha stabilito con tre sentenze che NOSA dovesse essere manlevata da AXO.
Dopodichè NOSA , ex art. 64 l. 218/1995, ha ottenuto il riconoscimento delle pronunce straniere dalla Corte d’Appello di Venezia; ma l’AXO avverso tale decisione ha proposto ricorso in Cassazione, fondando tale ricorso su tre motivi. La causa è stata rimessa al Primo Presidente dalla Prima Sezione, il quale, su richiesta del ricorrente e tenuto conto della speciale importanza della questione proposta, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, ritenendo opportuno sollecitare un ripensamento sul tema della riconoscibilità delle sentenze straniere che comminino danni punitivi.
Le Sezioni Unite, nel testo della sentenza in esame, hanno ricordato come i precedenti giurisprudenziali della stessa Corte abbiano fin qui negato il riconoscimento dei danni punitivi. Tali danni sono un istituto di origine anglosassone che prevede il riconoscimento al danneggiato di una somma ulteriore rispetto a quella prevista per la mera compensazione del danno subito, nel caso in cui il danneggiante abbia agito con dolo o colpa grave. Infatti nel 2007, con la sentenza n. 1183/2007, la Corte aveva sancito l’estraneità al risarcimento del danno dell’idea di punizione e di sanzione, ritenendo indifferente la qualificazione della condotta del danneggiante, affermando il carattere monofunzionale della responsabilità civile, «avente la sola funzione di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto leso». Tale posizione, fortemente criticata dalla dottrina, aveva trovato ulteriore conferma nella pronuncia del 2012 (Cass. civ., n. 1781/2012) che aveva testualmente escluso il carattere sanzionatorio della responsabilità civile in riferimento ai limiti della «verifica di compatibilità con l’ordinamento italiano della condanna estera al risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale».
Ma le Sezioni Unite ritengono questa analisi superata. La Corte sottolinea che già con la sentenza n. 9100/2015, in tema di responsabilità degli amministratori, abbia considerato la funzione sanzionatoria del risarcimento non più incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, essendo state introdotte «disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento», a patto che tale connotato sanzionatorio sia stato previsto da qualche norma di legge, «ostandovi il principio desumibile dall’art. 25 Cost. e dall’art. 7 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali», nonostante l’art. 23 Cost. giustifichi un contemporaneo diniego della funzione sanzionatoria e di deterrenza della responsabilità civile, diniego volto a disincentivare sollecitazioni tese ad ampliare la gamma risarcitoria in assenza di previsione normativa (cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 15350/2015).
Ma tali dinieghi, secondo la Corte, non possono valere a sopprimere quanto è emerso dalla traiettoria che l’istituto della responsabilità civile ha percorso in questi decenni. La Corte sostiene infatti che, accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo-riparatoria dell’istituto, è emersa una natura polifunzionale (un autore ha contato più di una decina di funzioni), che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente, dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva. Dalla descrizione effettuata, non si può non riscontrare il panorama normativo che si è venuto componendo, il quale da un lato denota l’urgenza che avverte il legislatore di ricorrere all’armamentario della responsabilità civile per dare risposta a bisogni emergenti, dall’altro dimostra quanto sia insoddisfacente una dottrina tesa ad eliminare dal sistema figure «non riconducibili “alla categoria”».
La Suprema Corte ripercorre, quindi, l’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto della responsabilità civile, o meglio la modalità mediante cui il nostro ordinamento ha affidato alla responsabilità civile non solo il compito di ripristinare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito un danno, ma anche una funzione di deterrenza e sanzionatoria al responsabile civile.
Nel proseguo delle argomentazioni della sentenza, le Sezioni Unite passano ad esaminare il concetto di ordine pubblico, riconoscendo che anche tale concetto, forte limite all’applicazione della legge straniera, ha subito negli anni una profonda evoluzione, divenendo, da «complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico sociale in un dato periodo storico», «distillato del sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria, con riferimento alla Costituzione, e dopo il Trattato di Lisbona, alla garanzie approntate alla Carta di Nizza, elevata a livello dei Trattati fondativi dell’Unione Europea dall’art. 6 TUE». Quindi, secondo la Corte, il rapporto tra ordine pubblico dell’Unione e quello di fonte nazionale è di autonomia e coesistenza, non di sostituzione. Obiettivo è una maggior permeabilità tra diritto internazionale/comunitario e diritto nazionale, promuovendo valori tutelati dal diritto internazionale senza minare la coerenza interna del nostro ordinamento giuridico.
Infine, la Cassazione, superato l’ostacolo connesso alla natura della condanna, esamina i presupposti che tale condanna deve avere per poter essere importata nel nostro ordinamento, per non confliggere con i valori previsti dagli artt. 23-25 Cost. Dichiara che nell’ordinamento straniero deve necessariamente essere presente un ancoraggio normativo per un’ipotesi di condanna a risarcimenti punitivi, che deve essere riconoscibile, tipico e prevedibile; nel caso di specie, la Florida prevede limiti alla responsabilità multipla. Tali limiti sono costituiti dal divieto del ne bis in idem, dall’introduzione di massimali alternativi a seconda del tipo di responsabilità che si configura, dalla necessità di seguire un complesso rito con una verifica iniziale della responsabilità ed una fase successiva relativa agli eventuali punitive damages.
Le Sezioni Unite precisano poi che la riconoscibilità del risarcimento punitivo è sempre da commisurare agli effetti che la pronuncia del giudice straniero può avere in Italia; il controllo delle Corti d’Appello deve essere, perciò, teso a verificare la proporzionalità tra risarcimento riparatorio-compensativo e risarcimento punitivo e tra quest’ultimo e la condotta censurata, per rendere riconoscibile la natura della sanzione. Necessarie sono quindi le verifiche per il recepimento di istituti che, seppur sconosciuti, non sono da considerare necessariamente incompatibili con il nostro ordinamento. La sentenza circoscrive gli effetti di una «curvatura deterrente/sanzionatoria» comunque individuabile nella giurisprudenza, anche costituzionale.
La Corte, quindi, rigettando il ricorso del ricorrente, enuncia infine il seguente principio di diritto: «Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico».

Avv. Annalisa Bruno
(Foro di Roma)

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