Respinto il ricorso di un uomo condannato al pagamento di un’ammenda pari a 35 mila euro per l’illecita detenzione di animali pericolosi. L’imputato era stato trovato in possesso di due esemplari di puma provenienti da riproduzione in cattività

Condannato alla pena di 35 mila euro di ammenda per detenzione di animali pericolosi. L’uomo, trovato in possesso di due esemplari di puma, aveva deciso di rivolgersi alla Suprema Corte di Cassazione. Secondo il ricorrente, la sentenza di merito si fondava su motivazioni apparenti. Il provvedimento si limitava infatti ad affermare, senza alcuna prova scientifica, che i due felini fossero ‘puma concolor’.

Il Tribunale, inoltre, avrebbe ritenuto l’imputato responsabile senza alcuna valutazione concreta della condotta tenuta e con valutazione parziale ed illogica degli elementi di prova. Tale accertamento, a detta dell’impugnante, sarebbe stato determinante per accertare se si trattasse di specie di animale ritenute pericolose ovvero a rischio di estinzione.

L’uomo lamentava poi vizio di motivazione in relazione alla ritenuta consapevolezza delle detenzione di esemplari vivi di mammiferi di felini provenienti da riproduzione in cattività. Animali che costituivano pericolo per la salute e l’incolumità pubblica oltre ad appartenere a specie in via di estinzione.

I Giudici della terza sezione penale di Piazza Cavour, con la sentenza n. 51839/2018, hanno ritenuto inammissibile il ricorso in relazione a tali motivazioni.

Si trattava, infatti, di doglianze non consentite in sede di legittimità in quanto richiedevano sostanzialmente una rivisitazione delle risultanze processuali.

Per gli Ermellini la sentenza impugnata aveva fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti e alla natura e specie degli animali. Era da ritenersi del tutto irrilevante, ai fini della sussistenza del reato di detenzione illecita di animali pericolosi, ogni valutazione sulla loro concreta nocività nonché sulle specifiche modalità della loro custodia.

 

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