Respinto il ricorso di una lavoratrice che, nell’ambito di una causa di licenziamento, contestava la qualificazione del rapporto di lavoro con una struttura sanitaria

La Sezione lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29646/2018, si è espressa sulla legittimità del licenziamento di una donna da parte di un casa di cura. In primo grado il Tribunale aveva accolto in ricorso della lavoratrice, avendo accertato incidentalmente la qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato. Da qui la condanna della struttura al pagamento di una indennità risarcitoria nei confronti della signora.

La decisione di primo grado era stata ribaltata in sede di appello. La Corte territoriale aveva infatti evidenziato che le emergenze processuali non deponevano univocamente per la natura subordinata del rapporto. Il contratto di opera professionale stipulato tra le parti “era chiaramente nel senso dell’autonomia del rapporto, con previsione di compenso forfetario, scarsità di impegno lavorativo e possibilità per la lavoratrice di farsi sostituire da altri professionisti”.

Dall’istruttoria era emersa, inoltre, la gestione autonoma degli orari da parte della lavoratrice nonché la mancanza di giustificazione delle assenze. Questa non era mai stata seguita, in caso di prolungamento della lontananza dall’attività lavorativa, da provvedimenti disciplinari.

La donna aveva quindi presentato ricorso per cassazione lamentando, tra l’altro, la violazione in sede di appello dei criteri di qualificazione del rapporto.

Il Giudice a quo, in particolare, avrebbe omesso di ricorrere, in presenza di incertezza circa la sua natura, agli indici sussidiari della subordinazione. Tra questi, la documentata richiesta di annotazione da parte della ricorrente degli orari osservati e le contestazioni in ordine alle assenze. E ancora la previsione di autorizzazione al godimento di ferie, la richiesta di relazionare il proprio operato, e l’erogazione dei compensi. Il tutto a fronte di una subordinazione attenuata quale doveva ritenersi quella caratterizzante il rapporto di lavoro in questione.

La Cassazione ha ritenuto di non aderire alle argomentazioni proposte, respingendo il ricorso in quanto infondato. Nella sentenza impugnata, infatti, si era adeguatamente valorizzata la mancanza di una prova rigorosa di deviazione dallo schema contrattuale del rapporto libero professionale. Peraltro, anche in tale rapporto sussistono poteri di etero conformazione e di controllo, nonché obblighi di diligenza e di osservanza delle istruzioni nell’esecuzione delle prestazioni dedotte nel contratto.

Secondo gli Ermellini, il potere gerarchico e direttivo non può esplicarsi in semplici direttive di carattere generale (compatibili con altri tipi di rapporto). Esso deve manifestarsi con ordini specifici, reiterati e intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa. Il poter organizzativo, inoltre, non può esplicarsi in un semplice coordinamento ma deve manifestarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale.

 

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