Una importante sentenza della Cassazione fa il punto sui casi in cui il medico decida di non andare oltre alla propria specializzazione, escludendo una sintomatologia solo perché non di sua competenza.

Se un medico si limita alla propria specializzazione e, visitando un paziente, omette di indirizzarlo altrove per ulteriori accertamenti, cosa rischia?

A questa domanda ha risposto la sentenza numero 15178/2018 della Corte di Cassazione.

Per i giudici, se ci sono dubbi, il sanitario deve indirizzare il paziente presso il professionista competente per gli opportuni accertamenti.

Egi non può e non deve infatti limitarsi a escludere che la sintomatologia lamentata sia connessa con il proprio campo di specializzazione. Però, laddove persistano dubbi, occorre che il professionista si premuri di consigliare al paziente ulteriori visite da altri medici.

Nel caso di specie, la Cassazione ha confermato la condanna di un neurologo.

Il medico, di fronte alle perdite di coscienza della sua paziente, l’aveva tranquillizzata, prescrivendole un esame neurologico che aveva dato esito confortante.

Inoltre, aveva escluso a priori che gli svenimenti di cui soffriva potessero avere natura cardiologica, come invece era poi risultato a seguito del decesso della donna.

Se dunque un medico si limita alla propria specializzazione, rischia molto, perché il consulto non può limitarsi a un unico profilo.

Già il giudice del merito aveva correttamente affermato che il sanitario “non poteva limitare il proprio consulto ad un unico profilo, omettendo qualunque previsione e successiva indicazione di approfondimento, in ordine alla possibile, alternativa genesi cardiaca delle crisi di perdita di coscienza”.

E non è tutto.

Rispetto infatti alle Linee guida dettate in materia, l’unico accertamento idoneo a escludere l’origine cardiaca delle sincopi di natura non determinata era l’elettrocardiogramma.

Un esame che, invece, non fu mai eseguito dalla paziente, che si era completamente affidata al medico neurologo.

Per tali ragioni, secondo la Cassazione, la colpa lieve deve essere esclusa nei casi in cui sia presente una violazione del dovere di diligenza.

L’unico caso in cui una limitazione della responsabilità va riconosciuta è quello in cui il medico abbia agito secondo la best practice. E soprattutto, senza che ci sia stato alcun errore diagnostico per negligenza o imprudenza.

Per tali ragioni, la Corte ha respinto il ricorso del neurologo.

“Nell’ambito delle previsioni colpose, – scrivono i giudici – ove più persone risultino responsabili di un evento, ciascuna ne risponde per intero. In tema di rapporto di causalità vige il principio della equivalenza delle cause, avendo il legislatore, all’art. 41, cod pen., adottato la teoria della par condicio. Pertanto, qualunque comportamento riferibile ad un soggetto agente, che si ponga come antecedente nella verificazione di una serie di accadimenti che conducono all’evento, è causa dello stesso”.

“Il rilievo mosso dalla difesa – prosegue la sentenza – in ordine alla corresponsabilità degli altri medici che si sono occupati del caso, ove mai tale responsabilità fosse stata ritenuta esistente, avrebbe potuto essere considerata come elemento di valutazione rilevante ai fini delta determinazione delta entità delta pena, ai sensi e per gli effetti dell’art. 133, comma primo, n. 3) cod. pen. che fa espresso riferimento al grado della colpa”.

“Peraltro – aggiungono i giudici – poiché il reato è estinto per intervenuta prescrizione, tale aspetto non ha più alcuna incidenza nell’ambito delta vicenda in esame”.

I giudici si esprimono poi sulla possibilità di una una valutazione comparativa, in termini percentuali, della responsabilità dell’imputato.

E affermano che “si tratta di un aspetto che viene in rilievo quando vi e un concorso di colpa anche delta persona offesa”.

Sul punto, i giudici affermano poi quanto segue.

“In tema di reato colposo, il giudice penale è tenuto ad accertare la colpa concorrente del terzo, rimasto estraneo al giudizio, al solo fine di verificare la rilevanza delta sua condotta sull’efficienza causate del comportamento dell’imputato e di assicurare la correlazione tra gravita del reato e determinazione delta pena, ai sensi dell’art. 133, primo comma, n. 3) cod. pen., dovendosi escludere, in via generate, l’esistenza di un obbligo di quantificazione percentualistica dei diversi fattori causali dell’evento, a meno che egli non sia chiamato a pronunciare statuizioni civilistiche’. Poiché nel caso in esame non si ravvisa alcun aspetto afferente al fatto colposo della parte civile, il giudice non era tenuto a effettuare una previsione percentualistica dei diversi fattori causali dell’evento”.

Alla luce di quanto enunciato, secondo la Corte di Cassazione la diagnosi del professionista, che si era pronunciato esclusivamente per una genesi vagale delle sincopi, “determinò il successivo sviluppo degli eventi, con esito infausto per la donna”.

Per tali ragioni, il neurologo deve essere condannato.

 

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