La Cassazione fa chiarezza sulla possibilità, da parte di un condannato, di chiedere l’ oscuramento dei propri dati personali dalla sentenza

Il condannato può chiedere l’ oscuramento dei propri dati personali dalla sentenza?

In proposito si è espressa la Cassazione con la pronuncia n. 55500 del 13 dicembre 2017.

I giudici hanno precisato che il condannato può chiedere l’ oscuramento dei propri dati personali dalla sentenza, purché la relativa richiesta venga inoltrata prima che sia definito il relativo grado di giudizio.

Nel caso di specie, i protagonisti erano due soggetti, condannati per i reati tributari di cui agli artt. 2 e 8 del d. lgs. n. 74 del 2000 (“dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” e “emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”).

A seguito di tale pronuncia definitiva di condanna, i soggetti in questione si erano rivolti alla Corte di Cassazione, chiedendo, ai sensi dell’art. 52 del d. lgs. n. 196 del 2003, l’ oscuramento dei dati personali contenuti nella sentenza.

Ciò in quanto la presenza degli stessi aveva “arrecato loro pregiudizio nei rapporti con gli istituti di credito”, i quali “non avevano inteso costituire con loro un rapporto di conto corrente bancario, a causa della pubblicità di tale condanna, determinando in tal modo una discriminazione nei loro confronti”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non ha accolto la loro richiesta, reputando inammissibile il ricorso.

La richiesta di oscuramento dei dati personali da una sentenza, infatti, deve essere “sorretta da motivi legittimi” e deve essere presentata “prima che sia definito il relativo grado di giudizio”.

Nel caso di specie, dunque, la richiesta avanzata dai condannati appariva tardiva, essendo la stessa stata avanzata successivamente alla conclusione del terzo grado di giudizio.

Non solo. La Corte ha precisato che la previsione di tale termine di decadenza risulta del tutto razionale.

Questo perché è “conforme ad esigenze di funzionalità e buon andamento della attività giurisdizionale, oltre che di pronta e immediata tutela dei diritti degli interessati”.

Anche dal momento che risulterebbe priva di utilità “una disposizione di oscuramento dei dati successiva alla pubblicazione del provvedimento e alla sua diffusione indiscriminata e senza limiti”.

Pertanto, la Cassazione ha rigettato l’istanza avanzata, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

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