La Corte d’Appello di Trento ribalta la sentenza di primo grado che condannava un ortopedico dell’ospedale San Camillo a risarcire un paziente per il danno causato da due interventi agli alluci

La Corte d’Appello di Trento, con sentenza del 10 maggio scorso, ha ribaltato la decisione di primo grado del locale Tribunale che accoglieva la richiesta di risarcimento di un insegnante di 69 anni per il danno provocato da due interventi correttivi all’alluce valgo ad entrambi i piedi, risalenti rispettivamente al 2004 e al 2005, e a suo dire non riusciti.

Secondo l’uomo, infatti,  gli interventi avrebbero fatto insorgere difficoltà motorie, sanguinamenti e dolori. Di qui la richiesta di un risarcimento pari a 43mila euro avanzata nei confronti dell’ortopedico e della struttura sanitaria in cui questi operava, l’Ospedale San Camillo di Trento, costituitosi a difesa del medico per negarne le responsabilità.

In primo grado il Tribunale, aveva accolto tale richiesta, sulla base di una consulenza legale, condannando ospedale e ortopedico al risarcimento di circa 28mila euro. Ma in appello l’ortopedico è riuscito a far valere le proprie ragioni, contestando i contenuti della consulenza e facendo presente che i disturbi lamentati dal paziente erano insorti a quattro-cinque anni di distanza dai due interventi, segno di una recidiva piuttosto che di un errore. Una seconda perizia ha evidenziato che le tecniche utilizzate dall’ortopedico del San Camillo erano assolutamente adeguate alla patologia da curare e che “la recidiva costituisce una possibile complicanza di un intervento chirurgico come quello eseguito”.

La Corte d’Appello ha inoltre dedotto che la decisione del paziente di operare il secondo alluce a distanza di oltre un anno dal primo, porterebbe a escludere errori dell’ortopedico in quanto altrimenti tali errori si sarebbero già dovuti palesare. I giudici di secondo grado hanno concluso che gli accertamenti per i dolori sopraggiunti effettuati a quattro o cinque anni di distanza dagli interventi confermerebbero l’ipotesi della recidiva e della “predisposizione” del paziente a questa patologia.

La Corte ha pertanto riformato la sentenza del Tribunale emessa nel settembre del 2013 e ha condannato il paziente a pagare le due consulenze d’ufficio e le spese sostenute in primo grado (5.077 euro) e in secondo (6.680 euro). Al paziente, inoltre, sono state imputate le spese d’appello dell’ortopedico che ammontano a 6.680 euro.

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