Per la Corte di Cassazione non esiste a carico del lavoratore un obbligo di eseguire compiti, quale la reperibilità, palesemente aggiuntivi ed estranei alla prestazione ordinaria dedotta in contratto

Con l’ordinanza n. 7410/2018, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sulla controversia tra una catena di supermercati e un proprio dipendente. Quest’ultimo aveva agito in giudizio nei confronti della datrice di lavoro chiedendo la dichiarazione di illegittimità di una sanzione disciplinare che gli era stata irrogata. Il provvedimento era scaturito dal rifiuto dell’attore alla prestazione di servizi di reperibilità; prestazione cui egli riteneva asseritamente di non essere tenuto.

La domanda del lavoratore era stata accolta sia in primo grado che in appello. La Corte territoriale non aveva ritenuto configurabile, ai sensi di legge e di contratto collettivo e individuale, un obbligo di esecuzione di tale prestazione. Pertanto, secondo il giudice di secondo grado, la condotta contestata al dipendente non era suscettibile di assumere rilevanza sul piano disciplinare.

Gli Ermellini hanno ritenuto di confermare l’orientamento del giudice a quo, rigettando il ricorso presentato dalla catena di supermercati, in quanto infondato.

La Cassazione, contrariamente a quanto affermato dalla datrice di lavoro, ha stabilito che non esiste a carico del lavoratore un obbligo di eseguire compiti palesemente aggiuntivi ed estranei rispetto alla prestazione ordinaria dedotta in contratto. Tale assunto vale, dunque, anche in relazione alla reperibilità. Lo si desume dal combinato disposto degli articolo n. 2086, 2094 e 2104 del codice civile.

Inoltre, per i Giudici di Piazza Cavour, devono ritenersi inoperanti le prassi aziendali formatesi in contrasto con la disciplina collettiva; era per l’appunto il caso di quelle invocate dalla ricorrente relativamente all’adibizione continuativa dei manutentori ai servizi di reperibilità.

 

 

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