Ci si è mai chiesti se anche i giudici pagano e quali sono le loro responsabilità?

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da alcune società italiane contro lo Stato italiano per sentirlo condannare al risarcimento del danno loro prodotto a causa della responsabilità, derivante dall’errata attività interpretativa dei giudici di merito.

La vicenda

Nel novembre del 2004 la Corte d’appello di Venezia aveva revocato il fallimento, dichiarato d’ufficio dal Tribunale di Padova circa dieci anni prima (nel giugno del 1996), nei confronti di diverse società italiane.

A seguito di tale provvedimento, le società illegittimamente dichiarate fallite (e tornate in bonis) avevano deciso di citare in giudizio dinanzi al Tribunale di Trento lo Stato italiano al fine di sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illegittima dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Padova.

Ma il Tribunale adito dichiarava inammissibile la domanda, rilevando come il preteso danno denunciato dalle società istanti fosse ascrivibile all’attività interpretativa del giudice, come tale esente da responsabilità, ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 2, comma 2.

Cosicché, tale ultimo provvedimento veniva confermato anche in appello. E nel 2008 anche la Suprema Corte di Cassazione rigettava il ricorso di legittimità.

Esauriti tutti mezzi interni di impugnazione, nell’ottobre del 2008, le società presentavano un ulteriore ricorso, questa volta dinanzi al Tribunale di Roma, al fine di far valere la responsabilità dello Stato italiano per avere, attraverso il giudice di ultima istanza, violato i principi di diritto posti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nelle sentenze “Kobler” e “Traghetti del Mediterraneo”, secondo cui lo Stato è chiamato a rispondere dei danni arrecati ai singoli a seguito dell’errata interpretazione delle norme, tanto di diritto comunitario, quanto di diritto interno, segnatamente nei casi (come quello occorso in relazione alla vicenda del fallimento delle società attrici) di violazione manifesta nell’interpretazione di norme interne in contrasto con l’interpretazione datane dalle corti nomofilattiche.

In particolare, vi sarebbe stata contrarietà al diritto dell’Unione Europea di una normativa interna che esonerasse lo Stato da responsabilità civile per errori dei giudici ascrivibili ad attività interpretativa.

Il Tribunale di Roma, con decreto del maggio del 2015, aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta dalle società attrici, in applicazione della L. n. 117 del 1988, art. 5. E, aveva altresì, escluso l’estensibilità della responsabilità civile del giudice per la manifesta violazione del diritto comunitario ai danni ascrivibili all’interpretazione delle norme di diritto interno.

La pronuncia veniva successivamente confermata in appello. E, anche questa volta la vicenda giudiziaria finiva in Cassazione.

Resistevano in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa dell’Avvocatura Generale dello Stato.

Il ricorso per Cassazione

Il profilo che qui rileva è contenuto nel secondo motivo di ricorso, col quale le ricorrenti censuravano la decisione impugnata per violazione della L. n. 117 del 1988, artt. 2 e 5, nonché per la violazione delle norme comunitarie poste dalle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea “Kobler” e “Traghetti del Mediterraneo”, ovvero per mancata applicazione del diritto interno in conformità al diritto comunitario (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonché per omesso o contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente confermato che l’attività interpretativa della legge interna esenti il giudice dalla responsabilità per i danni provocati dal relativo cattivo esercizio, a differenza dell’attività interpretativa avente a oggetto il diritto comunitario.

Il contrasto con il diritto comunitario

Siffatta opzione interpretativa si porrebbe in contrasto con i principi del diritto comunitario fatti propri nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea richiamate: sentenze – spiegano i difensori delle ricorrenti – che conferiscono ai singoli il diritto al risarcimento nei confronti dello Stato per i danni causati dal potere giudiziario azionale a causa di una manifesta violazione di norme di diritto.

Con il terzo motivo, veniva anche censurata la decisione impugnata per violazione dell’art. 234 del Trattato CE (oggi art. 267 del TFUE), nonché del principio di non discriminazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la richiesta di rimessione alla Corte costituzionale, ovvero per aver rigettato la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di dirimere la questione relativa alla responsabilità civile dello Stato per l’attività interpretativa resa dal giudice con riguardo alle norme di diritto interno.

A tal fine, le ricorrenti avevano riproposto la questione dinanzi ai giudici della Cassazione.

Ma secondo i giudici di Piazza Cavour, tutti e tre i motivi sono infondati!

Quanto alla dedotta contrarietà ai principi del diritto dell’Unione Europea di una disciplina nazionale che escluda la responsabilità civile dello Stato per i danni provocati dall’attività interpretativa delle norme interne da parte del giudice, viene richiamato, con specifico riguardo al caso oggetto dell’odierno giudizio, il principio di diritto già espresso dalla giurisprudenza della Cassazione secondo cui, in tema di responsabilità civile dei magistrati, nel vigore della disciplina anteriore alla L. n. 18 del 2015 (come imposto ratione temporis nel caso di specie), è infondato il ricorso per cassazione avverso il decreto di inammissibilità dell’azione risarcitoria allorché l’impugnazione risulti basata esclusivamente sull’incompatibilità comunitaria e sulla conseguente richiesta di disapplicazione delle clausole di salvaguardia, di cui alla L. n. 117 del 1988, art. 2, commi 2 e 3, per asserito contrasto delle stesse con i principi generali affermati nelle pronunce della Corte di Giustizia in tema di responsabilità degli Stati membri per l’attività di propri organi giurisdizionali (cfr. Sez. 3 -, Sentenza n. 21246 del 20/10/2016).

Al riguardo, deve ritenersi insussistente, da un lato, il collegamento tra la lesione del diritto azionato e la violazione delle norme di diritto comunitario (che non interviene a regolare il diritto processuale civile degli Stati membri), ed essendo preclusa, dall’altro, la verifica pregiudiziale di compatibilità di una normativa nazionale con i principi della Carta di Nizza, laddove la materia disciplinata dalla normativa nazionale non rientri (come quella del diritto processuale civile) nell’ambito del diritto dell’Unione.

Tali motivi costituiscono argomentazioni sufficientemente valide a rendere manifesta l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale e del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sollevate dalle società ricorrenti.

La responsabilità civile dei magistrati

La richiamata normativa contenuta nella L. 117/1988, conosciuta anche come legge Vassalli, contiene le disposizioni relative alla responsabilità civile dei magistrati ed in particolar modo, al risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie dei magistrati.

L’art. 1 chiarisce che vi è la possibilità di adire in giudizio lo Stato al fine di sentirlo condannare al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale cagionato da un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni. Tale azione è tuttavia subordinata alla circostanza che il danno subito sia ingiusto e che l’azione dell’organo giudicante sia stata posta in essere con dolo o colpa grave.

E in ogni caso, “nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”.

A tal proposito, si ricorda che le ipotesi di colpa grave sono le seguenti:

–       la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea;

–       il travisamento del fatto o delle prove;

–       ovvero l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

–       ovvero l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

La redazione giuridica

 

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