Responsabilità degli avvocati: con la sentenza del 24 ottobre 2017 la Cassazione ha espresso un importante principio di diritto

I fatti sottostanti la decisione di cui trattasi riguardano due avvocati convenuti in giudizio da un loro assistito, il quale chiese al Tribunale di Milano che fosse accertata la loro responsabilità professionale per negligenza in relazione alla mancata riassunzione del giudizio di rinvio a seguito di Cassazione, concernente un ricorso per licenziamento illegittimo, con conseguente prescrizione del diritto vantato dal loro assistito.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 7820 del 2013, ritenne la responsabilità degli avvocati convenuti, ma rigettò la richiesta di risarcimento per mancanza di prova in ordine ai danni che il ricorrente asseriva di aver subito.
Sicché le parti in causa adirono la Corte d’Appello di Milano, la quale, in parziale accoglimento dell’appello principale, condannò i due professionisti in solido al risarcimento del danno subito dal loro assistito, quantificato in 178.486, 28 euro.
Avverso tale decisione i due avvocati hanno proposto ricorso in Cassazione.
Nel motivare la sentenza la Corte osserva che la Corte d’appello ha impiegato un criterio probabilistico ai fini non solo dell’individuazione del nesso di causalità, ma anche – e soprattutto – del danno.
Infatti, ricorrendo nella specie un caso di responsabilità professionale per condotta omissiva, l’esito del giudizio che i due avvocati hanno omesso di incardinare è meramente ipotetico e deve costituire oggetto di un accertamento prognostico nel quale il tema dell’evento di danno e quello del nesso di causalità risultano inevitabilmente connessi sul piano della causalità materiale.
In motivazione viene ribadito poi ciò che la Corte ha affermato ripetutamente: ovvero che nell’accertamento del nesso causale in materia di responsabilità civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, a differenza che nel processo penale, ove vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”.
Tale criterio, secondo gli Ermellini, va tenuto fermo anche nei casi di responsabilità professionale per condotta omissiva (quale quello in esame): il giudice, accertata l’omissione di un’attività invece dovuta in base alle regole della professione praticata, nonché l’esistenza di un danno che probabilmente ne è la conseguenza, può ritenere, in assenza di fattori alternativi, che tale omissione abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno.
Ciononostante viene sottolineato che occorre distinguere fra l’omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l’evento dannoso, dall’omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio. In entrambi casi possono ricorrere gli estremi per la responsabilità civile, ma nella prima ipotesi l’evento dannoso si sarebbe effettivamente verificato, quale conseguenza dell’omissione; nell’altra, il danno (che, se patrimoniale, sarebbe da lucro cessante) deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato.
Nel caso di responsabilità degli avvocati per omessa impugnazione ricorre la seconda delle ipotesi innanzi considerate, poiché l’esito del giudizio che si sarebbe dovuto intraprendere e rispetto al quale, invece, il professionista ha lasciato decorrere i termini, non può essere accertato in via diretta, ma solo in via presuntiva e prognostica.
Pertanto, in tema di responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale, quando si tratta di attività del difensore, l’affermazione della responsabilità per colpa implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita.
In sostanza, nei casi come quello in esame, l’accertamento del nesso causale si estende con medesimi criteri probabilistici – anche alle conseguenze dannose risarcibili sul piano della causalità giuridica, ossia al mancato vantaggio che, ove l’attività professionale fosse stata svolta con la dovuta diligenza, il cliente avrebbe conseguito. Di tale danno, in queste circostanze, non può richiedersi una prova rigorosa e certa, incompatibile con la natura di un accertamento necessariamente ipotetico, in quanto riferito a un evento non verificatosi, per l’appunto, a causa dell’omissione.
Una volta gettate queste premesse, la Corte ha affermato il principio di diritto:
“In tema di responsabilità per colpa professionale consistita nell’omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza, o “del più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, posto che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa”.
In applicazione di tale principio di diritto, la Cassazione ha perciò ritenuto i ricorsi in esame infondati nella parte in cui postulano che l’affermazione della responsabilità degli avvocati per una condotta omissiva sarebbe dovuta essere preceduta dal raggiungimento della prova certa circa dell’esito favorevole del giudizio di rinvio, anziché dalla sola valutazione di un’elevata probabilità di vittoria.
 

Avv. Annalisa Bruno
(foro di Roma)

 
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