Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 29 ottobre 2015 – 3 febbraio 2016, n. 4468
Un medico ospedaliero, già condannato in primo e secondo grado di giudizio per il reato lesioni colpose perché, durante una visita colonscopica, aveva procurato ad una paziente lesioni ad organi interni, portava la vicenda dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, adducendo la mancata applicazione della Legge Balduzzi nella parte in cui esclude la punibilità dei fatti connotati da colpa lieve.
Già il giudice di primo grado, aveva ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la condotta ascritta e l’evento, sottolineando che, fra il momento della colonscopia ed il momento del successivo ricovero ospedaliero, non era intervenuta alcuna causa interruttiva.
Circostanza quest’ultima, poi, confermata dalla competente Corte di Appello adita.
Di contrario avviso la difesa, che dinanzi alla Suprema Corte, denunciava – come premesso – la mancata applicazione della normativa introdotta dalla legge n. 189 del 2012 (Legge Balduzzi) in materia di responsabilità medica per colpa lieve, per un errore di manovra eseguito nel rispetto delle linee guida.
In particolare, – affermava il ricorrente – il Tribunale di primo grado, aveva escluso l’applicazione della normativa de qua confondendo il concetto di perizia con quello di negligenza. A ciò poneva rimedio – solo in parte – la Corte d’Appello che riconosceva, che l’errata esecuzione della manovra atteneva non alla negligenza bensì alla perizia, ma trovava comunque, un motivo di esclusione: non sarebbe stato provato il rispetto delle linee guida, né tale indagine sarebbe necessaria per la genericità della contestazione sul punto.
Ebbene, va in primo luogo osservato che, mentre la versione originaria della disposizione contenuta nel decreto legge Balduzzi, pareva assumere esclusiva rilevanza civilistica, il testo della conversione fa inequivoco riferimento alla responsabilità penale dell’esercente le professioni sanitarie, escludendola nell’ipotesi in cui il medico si sia attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
Appare oltremodo inequivoco che la condizione dettata dalla nuova norma, affinché possa dirsi eslusa la responsabilità penale del medico, è che le linee guida a cui il professionista si sia attenuto, siano state accreditate dalla comunità scientifica di riferimento.
Appare evidente come il legislatore, consapevole del contrasto giurisprudenziale in tema di guidelines, in alcuni casi ritenuto elemento essenziale al fine della valutazione della condotta tenuta dal medico, in altri invece non ritenuto determinate, abbia definitivamente sancito, a livello normativo, l’obbligo per il Giudice di considerare, nella propria attività di ricostruzione dei fatti e di valutazione del nesso causale, «le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica» che, qualora correttamente seguite dal sanitario nel caso concreto, porteranno di per sé ad escludere una copa grave, non potendosi in tal modo procedere ad una pronuncia di condanna.
Secondo la Suprema Corte, scopo ultimo dellegislatore sarebbe stato infatti quello di contrastare il fenomeno dilagante della c.d. «medicina difensiva» che si configura ogni qual volta i sanitari, temendo ripercussioni sulla propria sfera giuridica soggettiva, attuerebbero strategie mediche improntate sull’eccesso di prudenza, con la seguente prescrizione di esami diagnostici totalmente superflui, e quindi con inevitabili ripercussioni sia sui costi che sulla qualità del servizio medico fornito (privato e del Ssn).
La suddetta depenalizzazione non blocca, in ogni caso, la via del risarcimento, prevedento lo stesso art. 3, legge n. 189/2012 che «resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del c.c.»; per cui il Giudice, terrà sì del rispetto delle linee guida, ma dovrà procedere alla valutazione specifica del comportamento tenuto dal sanitario, esaminato in relazione al caso concreto.
In tutti questi casi, occorre dunque valutare se esistano linee guida o pratiche mediche accreditate, afferenti all’esecuzione dell’attività medica in questione; se l’intervento eseguito si sia mosso entro i confini segnati dalle direttive e, in caso affermativo, se nell’esecuzione dell’intervento vi sia stata colpa lieve o grave.
Cosa che tuttavia, non era stata fatta nel caso in esame.
Sul punto il parere della Cassazione.
«Circa l’applicazione dell’invocata disposizione normativa di cui alla c.d. Legge Balduzzi, parimenti condivisibile è la motivazione sul punto della sentenza impugnata. In sintesi questa Corte ha avuto modo di affermare (V Sez. 4^, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013 Ud. Rv. 255105) che, già ad una prima lettura della norma (art. 3) risulta chiaro che due sono i tratti di nuova emersione. Da un lato la distinzione tra colpa lieve e colpa grave, per la prima volta normativamente introdotta nell’ambito della disciplina penale dell’imputazione soggettiva. Dall’altro, la valorizzazione delle linee guida e delle virtuose pratiche terapeutiche, purché corroborate dal sapere scientifico. Si tratta di novità di non poco conto. La colpa penale, sia pure in un contesto limitato, assume ora una duplice configurazione. E d’altra parte viene abbozzato, in ambito applicativo, un indirizzo sia per il terapeuta che per il giudice, nel segno della documentata aderenza al più accreditato sapere scientifico e tecnologico. Si è ribadito (essendo patrimonio già della giurisprudenza dei questa Corte) che le linee guida costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni terapeutiche. Si tenta di oggettivare, uniformare le valutazioni e le determinazioni; e di sottrarle all’incontrollato soggettivismo del terapeuta. I vantaggi di tale sistematizzata opera di orientamento sono tanto noti quanto evidenti».
«Tali regole, non danno luogo a norme propriamente cautelari e non configurano, quindi, ipotesi di colpa specifica. Esse, tuttavia hanno a che fare con le forti istanze di determinatezza che permeano la sfera del diritto penale».
Ne deriva, perciò, che in tema di responsabilità medica come modificata dalla c.d. legge Balduzzi, le linee guida non hanno valore di norma cautelare. E pertanto, esse non sono idonee a rappresentare, se violate, ipotesi di colpa specifica. Queste al contrario, afferma la Corte – devono confrontarsi con la necessità di determinatezza che permea il diritto penale.
Nel caso in esame, tuttavia, (…) “in nessun momento del giudizio era stato effettuato un riferimento ad una eventuale conformità della condotta medica rispetto a linee guida esistenti. Era dunque, mancata l’indicazione delle stesse onde poter verificare la corrispondenza dell’operato del ricorrente ad esse, ciò che rileva al fine della non configurabilità della colpa lieve”.
Ad ogni modo, il fatto contestato atteneva ad un’erronea manovra di esecuzione dell’esame medico, profilo che attiene alla perizia e non alla negligenza.
Tanto basta ad escludere “l’ipotesi di colpa lieve, nell’accezione della novella, atteso che essa è sintomatica della mancata adozione di quelle necessarie attività mediche (linee guida) che avrebbero evitato la lesione procurata alla paziente”.
Avv. Sabrina Caporale
Assistenza Legale
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