Per la Cassazione è illegittima la procedura di selezione del personale che non preveda differenziazione tra uomini e donne nei requisiti minimi di altezza

Aveva chiesto la “rivalutazione dell’idoneità fisica all’assunzione nella posizione di Capo servizio treno”, per la quale la compagnia Trenitalia aveva indetto un bando. La procedura per la selezione del personale non prevedeva requisiti di altezza, ma nel corso delle prove il presunto deficit di statura era stato “posto a fondamento della certificazione di inidoneità” che aveva portato all’esclusione della donna.

La domanda, tuttavia, era stata respinta sia in primo grado che in appello. La Corte territoriale, in particolare, aveva sottolineato come non fosse imputabile a Trenitalia alcun comportamento discriminatorio. Per i Giudici del merito l’appellante non aveva contestato la ragionevolezza del requisito di altezza, bensì la mancata differenziazione del limite tra uomini e donne. A fronte di tale contestazione, “il rimedio sarebbe da individuarsi nell’elevazione del requisito per gli uomini”.

Una decisione che comunque non avrebbe determinato il diritto della donna ad essere ritenuta idonea all’espletamento del servizio.

La donna aveva quindi deciso di ricorrere davanti alla Suprema Corte, lamentando la violazione degli artt. 3, 4 e 37 della Costituzione. A suo avviso, inoltre, la decisione del Giudice a quo sarebbe stata in contrasto con la disciplina antidiscriminatoria prevista dal Codice delle pari opportunità.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30083/2017, ha ritenuto effettivamente di accogliere l’impugnazione, in quanto fondata. Per i Giudici Ermellini, infatti, la discriminazione rilevata dalla ricorrente era stata denunciata anche sotto il profilo della ragionevolezza del limite di statura. L’azienda convenuta, a fronte di tali rilievi, aveva sostenuto di ritenere insufficiente una altezza al di sotto del metro e sessanta.

La bassa statura, infatti, avrebbe potuto compromettere la discesa dal predellino e l’azionamento del freno d’emergenza. Tali motivazioni, tuttavia, non hanno convinto i giudici del Palazzaccio, che hanno configurato non soltanto una situazione di illegittimità, ma anche di incostituzionalità. La sentenza di appello, quindi, è stata annullata e la causa è stata rinviata alla Corte territoriale per un nuovo giudizio.

 

Leggi anche:

URLA E PAROLACCE AL LAVORO: SI RISCHIA IL LICENZIAMENTO?

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui