Al di fuori di ogni considerazione di parte, la bozza di ctu che vi allego (che tratta di un intervento di Blefaroplastica completa) dimostra come uno specialista in chirurgia plastica, da solo, non possa fare il CTU e dunque non possa redigere una “soddisfacente” relazione tecnica che, tra l’altro, riesca nell’intento conciliativo delle parti.

Potete osservare come il ctu giri attorno al vero problema: un trattamento che davvero poteva fallire come è fallito a causa anche di verosimile imperizia del chirurgo in quanto egli è re-intervenuto due volte e tra l’altro senza nulla scrivere in cartella di tali interventi correttivi. E il ctu cosa fa? Non si sofferma nemmeno a spiegare cosa sia successo e perché il chirurgo sia dovuto re-intervenire.

Il CTU ha fatto un maquillage degli eventi dando rilievo alla diligenza del medico nell’aver eseguito la blefaroplastica NON completa (!?!) e di aver fatto tutto perfettamente ma non si è soffermato sui fatti più importanti, ossia:

1. Era prevedibile un possibile fallimento dell’intervento di Blefaroplastica in un soggetto di 77 anni? E se no, perché si è dovuti re-intervenire due volte? E per quale motivo non esistono in cartella clinica o in una specifica per i due interventi (anche i convenuti non possedevano nulla e né hanno esibito dopo le operazioni peritali alcunché)? Non è un falso ideologico questo?

2. E’ stato un intervento di chirurgia estetica in assenza di disfunzionalità. Qual era il tipo di obbligazione? Dunque, se non si raggiunge il risultato sperato e dovuto che cosa si risarcisce oltre alle spese sostenute?

3. Il ctu non ha inserito in perizia quanto riferito dal periziando, ossia “io ero andato dal chirurgo per eliminare le borse  sotto gli occhi”. Ma si limita a scrivere che rispetto al preoperatorio la situazione sia migliorata (e ciò non ci sembra affatto!) e che la blefaroplastica non è stata completa in quanto le borse non sono state neanche toccate.

4. Non risponde adeguatamente al primo quesito del giudice, forse perché disorientato dal secondo. Non indica il periodo di invalidità temporanea perché sorvola sui due reinterventi, né di quella permanente perché ammette che tutto sia stato fatto bene e perché non conosce il “peso” giuridico delle cose che dice.

Proviamo a rispondere noi.

1. La non riuscita era prevedibile anche se l’intervento non può dirsi controindicato. Allora va considerata l’informazione errata rispetto alle prospettive del paziente. L’assenza dei due successivi interventi in cartella (considerato che sono stati fatti nella stessa struttura) o l’inesistenza di altre cartelle relativi ai due reinterventi rappresentano un falso ideologico. E i 2 reinterventi sono legati al primo e, verosimilmente, ad una sua inadeguata esecuzione;

2-3. Nel caso de quo era una chirurgia puramente estetica e il chirurgo ha affermato al paziente che gli avrebbe eliminato le fastidiose borse agli occhi (obiettivo raggiungibile) per cui esiste un danno alla capacità di autodeterminazione e un danno biologico da inadempimento contrattuale che corrisponde al valore del danno estetico da persistenza delle “borse” e tutti gli esiti cicatriziali descritti in relazione, a cui aggiungere tutte le spese sostenute per gli interventi e le cure post operatorie.

4. Il periodo di invalidità temporanea è quello relativo alla impossibilità per il periodo post operatorio a compiere di atti ordinari della vita.

 

Cari Giudici, sappiate a chi farli i quesiti perché è fatto indispensabile per la buona riuscita della lite.

 

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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