Niente peculato per il medico che svolge attività intramoenia, anche se le prestazioni sono avvenute quando non ha timbrato la presenza in ospedale

Non sussiste il reato di peculato nella condotta del medico che abbia svolto attività intramoenia con utilizzo di macchinari dell’ospedale, anche se le prestazioni sono state effettuate in giorni in cui il sanitario non ha timbrato la sua presenza in ospedale.
Questo è il senso della decisione del G.I.P. del Tribunale di La Spezia, Dr. Mario De Bellis, del 28 marzo 2017.

Ma cosa si intende per attività libero professionale intramuraria?

Consiste nell’attività che il personale della dirigenza medica e dirigenza sanitaria esercita, individualmente o in equipe, fuori dell’orario di lavoro e delle attività previste dall’impegno di servizio, in regime ambulatoriale, ivi comprese le attività di diagnostica strumentale e di laboratorio, di day hospital, di day surgery e/o di ricovero, sia nelle strutture ospedaliere che territoriali, in favore e su libera scelta dell’assistito e con oneri a carico dello stesso o di assicurazioni o di eventuali fondi integrativi del S.S.N. di cui all’art. 9 de! D.lgs. 502/92 e successive modificazioni ed integrazioni.
La suddetta attività deve essere preventivamente autorizzata dall’Azienda, deve essere svolta in una sede unica fuori dell’orario di servizio ed organizzata in orari diversi da quelli stabiliti per qualsiasi tipo di attività istituzionale, ivi compresa la pronta disponibilità e la guardia attiva.
L’attività non può essere esercitata durante l’assenza dal servizio per malattia, l’astensione obbligatoria dal servizio, assenze retribuite, il congedo collegato al rischio radiologico, ferie, aspettative varie, scioperi, nonché in occasione di sospensione dal servizio per provvedimenti cautelari collegati alla procedura di recesso per giustificato motivo o per giusta causa ovvero nel caso in cui il dirigente sanitario fruisca del regime di lavoro a tempo parziale.
Può essere espletata, eccezionalmente, durante l’orario ordinario di lavoro solo per prestazioni di laboratorio, strumentali e consulenze specialistiche in favore di ricoverati in regime libero professionale.
In questo ultimo caso i sanitari ed il personale di supporto sono tenuti a recuperare il tempo dedicato alle prestazioni rese in regime di attività libero professionale con orario di lavoro supplementare, calcolato in base agli standard orari prefissati per prestazioni analoghe erogate in attività istituzionale.
Ebbene nel caso sottoposto al vaglio del G.I.P. di La Spezia all’indagata, dirigente medico presso l’Ospedale di La Spezia, è stato contestato 1) di avere svolto attività intramoenia, con utilizzo dei macchinari dell’ospedale, con turbamento dell’attività di altro medico che stava facendo ugualmente attività intramoenia e 2) in giorni in cui non aveva timbrato la propria presenza in ospedale.
Le veniva, inoltre, contestato, 3) di essere stata ricoverata in ospedale in un certo arco di tempo e che vi era in atti una attestazione di malattia per causa di servizio desumibile dalla timbratura dei cartellini di presenza laddove si sarebbe trattato di un infortunio durante attività sportiva e 4) di esporre sulla pubblica via una targa professionale, circostanza che farebbe supporre che l’indagata svolgesse attività medica a titolo privato non consentita.
Ebbene secondo il G.I.P. le prime due circostanze assumono solo una rilevanza al più disciplinare, l’assenza per ricovero è effettiva e non risulta che la motivazione dell’assenza derivante dalla timbratura dei cartellini abbia avuto conseguenze di alcun genere.
Quanto al fatto riferito al punto 4) il G.I.P. ritiene che si tratta di ipotesi non supportata da prove.
Tra l’altro la ASL escludeva di avere subito danni dalla condotta dell’indagata.
Il G.I.P. di La Spezia, ritenendo non sussistenti i fatti di reato contestati ha disposto l’archiviazione del procedimento, come era stato richiesto anche dal Pubblico Ministero.

Ma quando la giurisprudenza ritiene sussistente il reato di peculato?

La Suprema Corte ha già chiarito che integra il delitto di peculato la condotta del medico che, avendo concordato con la struttura ospedaliera lo svolgimento dell’attività libero – professionale intramoenia, e ricevendo per consuetudine dai pazienti, invece di indirizzarli presso gli sportelli di cassa dell’ente, le somme dovute per la sua prestazione, ne ometta il successivo versamento all’azienda sanitaria; infatti, per quanto la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio non possa essere riferita al professionista che svolga attività intramuraria, che è retta da un regime privatistico, detta qualità deve essere attribuita a qualunque pubblico dipendente che le prassi e le consuetudini mettano nelle condizioni di riscuotere e detenere denaro di pertinenza dell’amministrazione (Sez. 6, Sentenza n. 2969 del 06/10/2004. Rv. 231474, Moschi).
Nella motivazione di questa sentenza si è, in particolare, precisato che nella specie assumeva rilevanza non già l’attività professionale, ma la virtuale sostituzione del medico ai funzionari amministrativi nell’attività pubblicistica di riscossione dei pagamenti, cosa che non è avvenuta invece nel caso esaminato dal G.I.P. di La Spezia, essendo stato contestato all’indagata solo il fatto di aver eseguito la prestazione in giorni in cui non aveva timbrato la sua presenza in ospedale.
Questo orientamento è stato recentemente ribadito anche in altre decisioni della Corte di Cassazione, nelle quali si è specificato che il medico convenzionato, pur non potendosi qualificare dipendente pubblico, riveste la qualità di pubblico ufficiale per la parte della sua attività inerente al versamento delle somme che, in base alle norme vigenti in materia di attività intramoenia, sono dovute alla azienda sanitaria, sicché bene è configurabile il reato di peculato nell’ipotesi in cui tale soggetto si appropri di tali porzioni di somme ricevute dai pazienti (Sez. 6, Sentenza n. 39695 del 17/09/2009, Rv. 245003, Russo).
I su riferiti approdi giurisprudenziali sono validi anche nel caso di cd. intramoenia “allargata”, in cui il sanitario ha esplica la sua attività presso il proprio studio professionale e con proprie attrezzature senza fare ricorso a personale, a locali ed a materiali dell’ente di appartenenza.
Ciò che la legge vieta, in definitiva, è che il medico nel momento in cui sostituisce all’ente pubblico nel riscuotere le somme pagate dai pazienti, si trovava in possesso di denaro sicuramente, almeno in parte, pubblico e, in questa veste, riveste la qualifica di pubblico ufficiale, trattandosi di incarico in cui egli veniva sostanzialmente a sostituirsi ai funzionari dell’economato nel ricevere i pagamenti degli assistiti, e le somme da lui incassate sono, almeno in parte, possedute per ragioni di ufficio, avendo la Suprema Corte già chiarito che queste ultime devono essere intese in senso lato si da comprendere anche il possesso derivante da prassi o consuetudini invalse in un determinato ufficio (sez. 6, sent. 10-7-00, Vergine; sent. 10-4-01, La Torre).

Avv. Maria Teresa De Luca

 
 

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