Una sentenza della Cassazione ha fornito chiarimenti sul caso in cui accedere alla email altrui conoscendo la password si configuri come reato

È sempre reato accedere alla email altrui conoscendo la password?
Secondo quanto affermato nella sentenza n. 52572/17, pubblicata il 17 novembre dalla quinta sezione civile della Corte di Cassazione, sì.
Chi decide di accedere alla email altrui conoscendo la password è perseguibile, perché di fatto viola le prescrizioni che ne regolano l’ingresso.
Non bisogna infatti dimenticare che la casella email è uno spazio di memoria protetto da credenziali personalizzate.

La casella di posta elettronica è uno spazio a esclusiva disponibilità del suo titolare, identificato da un account registrato presso il provider del servizio.

Nel caso di specie una donna, divorziata dal marito, era a conoscenza della password della email dell’ex e aveva compiuto ben due accessi nell’account di quest’ultimo, cambiandone anche le credenziali di accesso.
Ebbene, il fatto che l’uomo sia rimasto fuori dalla sua posta elettronica, per i giudici, prova “pienamente il superamento dei limiti intrinseci connessi con la conoscenza della password”.
Inoltre, durante uno dei due accessi la ex moglie aveva anche lasciato un insulto nei riguardi dell’ex consorte.
Pertanto, secondo la Corte di Cassazione, dovrà pagare i danni per aver cambiato la chiave d’accesso all’account dell’ex marito.
Secondo i giudici, infatti, la casella di posta elettronica è un sistema telematico e il delitto di accesso abusivo si configura anche a carico di chi è abilitato a entrare nel sistema perché ne conosce la password.
Questo in quanto accedendovi sta violando le prescrizioni impartite dal titolare.

Insomma, per i giudici non c’è dubbio che si configuri l’accesso abusivo per chi decida di accedere alla email altrui conoscendo la password.

E quest’ultimo aspetto non costituisce certo una attenuante, anzi.
In relazione invece al secondo addebito, scaturito dall’insulto lasciato dalla donna, i giudici hanno stabilito quanto segue. La sentenza impugnata è stata annullata senza rinvio agli effetti civili oltre che penali. Secondo i giudici, infatti, il fatto non è più previsto dalla legge come reato perché il decreto legislativo 7/2016 ha abrogato l’articolo 594 Cp.
 
 
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