Con sentenza n. 3331 del 19 febbraio, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di affido condiviso, collocazione del minore presso uno dei due genitori e assegnazione della casa familiare. 

Con la stessa sentenza, gli ermellini, hanno rigettato il ricorso proposto da un padre, avverso la decisione del giudice di merito di affidare il proprio figlio minorenne, presso la madre, già vittima di disturbi psico fisici, sofferti durante la gravidanza e nelle prime fasi di vita del proprio figlio, che l’avevano portata ad allontanarsi dalla casa familiare, per poi farvi ritorno non appena guarita.

Nei primi due gradi di giudizio, entrambi i giudici avevano condiviso l’assunto per cui il minore dovesse essere collocato presso la madre in quanto, “ferme le buone competenze genitoriali di entrambi”, quest’ultima sembrava quella maggiormente in grado di garantire il rispetto dell’altro genitore ed il mantenimento dei rapporti con quest’ultimo e di conseguenza, assicurare il più equilibrato sviluppo psico-fisico del minore, mediante il contenimento del conflitto tra i genitori.

Gli stessi giudici, avevano altre sì stabilito l’assegnazione della casa familiare alla madre, seppure come emerso nel corso procedimento, il minore non vi avesse mai abitato, visto l’allontanamento temporaneo della donna.
Ancora una volta, la Cassazione sembra condividere il giudizio della Corte territoriale, nel ritenere tale circostanza “recessiva” in relazione ad altri due elementi: la pregressa convivenza delle parti presso tale abitazione e la destinazione a casa familiare impressa a tale immobile.

In verità, l’eccezione del ricorrente, si basava sull’interpretazione, ormai pacifica nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’assegnazione della casa coniugale si fonda sul fatto che il figlio minore abbia già abitato l’immobile e, conseguentemente, sia necessario preservare il suo habitat domestico.
La censura – a giudizio della Corte – non è fondata. «L’assegnazione della casa familiare – afferma – viene attribuita tenendo conto prioritariamente dell’interesse dei figli”. La norma che disciplina tale circostanza, contenuta nell’art. 337 sexies c.c. indica un criterio: “l’interesse dei figli” sulla base del quale stabilire a quale dei genitori dovrà essere attribuito il godimento dell’abitazione coniugale ma non determina le caratteristiche identificative di tale peculiare destinazione».

«Pertanto, se risulta del tutto agevole desumere dalla norma che la casa familiare sia assegnata al genitore collocatario dei figli minori (o maggiorenni non autosufficienti) o affidatario esclusivo, più complessa può apparire la qualificazione giuridica di un immobile come abitazione familiare in tutte le ipotesi in cui non risulti in modo inequivoco che la situazione preesistente al conflitto giudiziale sia caratterizzata da una stabile e continuativa utilizzazione dello stesso come abitazione del nucleo familiare, composto dai genitori e dai figli minori o maggiorenni ma non autosufficienti. E ancor di più lo è nelle ipotesi in cui, (…) come nel caso di specie, il conflitto sia sorto prima della stabilizzazione del nucleo familiare costituito dai genitori e dal figlio nell’immobile».

«I criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, tuttavia, contengono indicatori adeguati anche per le situazioni che possono apparire d’incerta soluzione. In primo luogo non può qualificarsi “casa familiare” l’immobile in cui la coppia coniugata o non coniugata non abbia mai condiviso prima della nascita del figlio. La mera destinazione dell’immobile ad un progetto di coabitazione è insufficiente a fondarne il godimento in funzione del prioritario interesse a fondarne il godimento, quando né i genitori né quest’ultimo vi abbiano mai abitato».

Ad ogni modo, «diversa deve ritenersi la soluzione quando, come nella specie, i genitori del minore abbiano non solo destinato di comune accordo e con impegno economico comune un immobile a loro abitazione familiare ma vi abbiano anche convissuto stabilmente prima del conflitto, deflagrato con la nascita del figlio. In questo caso, la casa familiare preesisteva alla nascita del figlio minore ed il temporaneo allontanamento dovuto al conflitto del nucleo genitori – figli non ha mutato tale preesistente destinazine. L’abitazione nella quale la coppia di genitori ha convissuto, per cinque anni circa (secondo quanto risulta dagli atti) costituisce nella specie l’habitat domestico, ovvero il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare” (Cass. 8867/1992). Nel caso in esame, l’immobile assegnato al genitore collocatario ha costituito per la fase della stabile convivenza delle parti” il centro di aggregazione della famiglia”» (Cass. 1453/2011).

«Ne consegue che la destinazione a casa familiare deve ritenersi univocamente impressa all’immobile dalle parti non solo in astratto (con l’acquisto in comunione) ma anche in concreto per mezzo della loro convivenza».

                                                                                                                    Avv. Sabrina Caporale

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