Anestesista condannato dalla Corte di Cassazione penale per omicidio colposo di una paziente durante un intervento chirurgico

Durante un intervento non aveva regolato bene l’ossigenazione, provocando così alla paziente un’ischemia cerebrale mortale: anestesista condannato per omicidio colposo dalla Cassazione.

Il fatto

La paziente era stata ricoverata a causa di una incidente stradale. Di conseguenza, era stata sottoposta ad un intervento chirurgico di riduzione chiusa di una frattura nasale non a cielo aperto”.
In seguito a all’insorgenza di complicazioni la paziente era stata trasferita al reparto di rianimazione, dove è morta per insufficienza cardiorespiratoria.

Gli accertamenti

Dagli accertamenti è emerso che si era verificata un’ischemia cerebrale, collegata ad una “carenza d’ossigeno generalizzata a livello cerebrale”.
Tale carenza era stata provocata dall’errore dell’anestetista condannato, in quanto non aveva gestito bene la ventilazione polmonare della donna durante l’intervento.
Per questo motivo, la Corte di appello aveva condannato l’anestesista per omicidio colposo.

Il ricorso in Cassazione

L’anestesista condannato dalla Corte di appello è ricorso in Cassazione. Secondo la sua difesa, la morte della paziente sarebbe stata provocata da un’infezione contratta in terapia intensiva.
Secondo il medico, la ridotta ossigenazione della paziente non poteva essere considerata l’unica causa della morte della paziente. Pertanto, riteneva che il suo era un caso di “colpa lieve” ex art. 3 della legge Balduzzi.

La sentenza della Corte di Cassazione penale

Con la sentenza n. 33770 dell’11 luglio 2017, La Corte di Cassazione penale ha rigettato il ricorso dell’anestesista, condannandolo così per omicidio colposo e al pagamento delle spese processuali.
Si legge nella sentenza che la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato la propria decisione.
Innanzi tutto, dalle prove assunte era accertato che la causa del decesso della paziente era riconducibile alla sua imperizia.
Inoltre, la condotta del medico era stata “correttamente e motivatamente qualificata come caratterizzata da ‘grave negligenza’”.
La Corte di Cassazione ha quindi confermato integralmente la sentenza emessa dalla Corte di appello.
 
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