Assenza per infortunio e periodo di comporto (Cassazione civile, sez. lav., 22/06/2023, , dep. 22/06/2023 , n.17912).

Superamento periodo di comporto, licenziamento e conteggio delle assenze per infortunio.

La Corte d’appello di rigettava il gravame contro la sentenza del Tribunale di Udine proposto dal lavoratore del Comune, che si era visto respingere l’originaria domanda di accertamento della illegittimità e/o nullità dei due licenziamenti intimati, rispettivamente per intervenuto superamento del periodo di comporto e per giustificato motivo soggettivo

La Corte territoriale riteneva che nel periodo di comporto dovevano essere computati sia i giorni di assenza per malattia (per edema alla mano destra comparso il 19.12.2018) conseguenti all’infortunio, sia gli ulteriori giorni (per otite cronica dell’agosto 2017) derivanti dall’esposizione del lavoratore, in data 5.8.2017, all’aria fredda di un condizionatore malfunzionante posto in una stanza dell’ufficio, essendo emersa la non imputabilità degli eventi preindicati a responsabilità del datore di lavoro

 In particolare, in relazione al primo infortunio, è stato evidenziato che il lavoratore si era limitato ad affermare che l’evento si verificava in servizio. Tuttavia, tal, elemento non è sufficiente – in difetto di allegazione della nocività dell’ambiente di lavoro e di specifiche violazioni di norme di sicurezza – a escludere la computabilità dell’assenza dal periodo di comporto; di talchè risultava irrilevante la dedotta prova testimoniale.

Per quanto concerne la seconda patologia (otite cronica), lo stesso lavoratore ammetteva che il condizionatore malfunzionante era raramente utilizzato, e in tal caso solo in modalità deumidificazione, tant’e’ che la comandante ne custodiva il telecomando, quale specifica cautela proprio per il cattivo funzionamento dell’apparecchio, cautela – sempre secondo il giudice d’appello – aggirata in modo imprevedibile da un collega del ricorrente, il quale si sarebbe servito quel giorno di un bastone per riattivarlo contro la volontà della stessa comandante.

Ciò posto, per le assenze dovute alle suddette patologie, non v’era prova dipendessero, effettivamente, da responsabilità datoriale, sicché non potevano essere detratte dal calcolo del comporto, donde la legittimità del recesso datoriale. Oltre a ciò, il secondo licenziamento era determinato dalla assenza ingiustificata per un periodo superiore a 3 giorni.

La decisione viene impugnata in Cassazione. Il lavoratore lamenta che i Giudici di merito avrebbero erroneamente rigettato le richieste istruttorie finalizzate a dimostrare che le assenze dal lavoro derivavano da fatti ascrivibili alla responsabilità datoriale.

La censura viene considerata infondata.

La Corte territoriale ha adeguatamente argomentato sulle ragioni della mancata ammissione dei mezzi istruttori, e ciò alla stregua dell’affermata inadeguatezza delle stesse allegazioni sulla riconducibilità delle assenze in parola a responsabilità datoriale ai sensi dell’art. 2087 c.c..

Difatti, richiamando principi consolidati  (Cass. n. 28516/2019 e Cass. 29909/2021), viene ribadito che non è sufficiente (salvo diversa disposizione contrattuale), ai fini dell’esclusione dal periodo di comporto, che la patologia che ha causato il periodo di assenza fosse stata contratta in occasione del lavoro, ma è necessario che lo stato di malattia sia anche imputabile a nocività dell’ambiente lavorativo, derivante dalla violazione di specifiche norme di sicurezza o di generali regole di cautela e prudenza“. Tali circostanze non erano desumibili dall’enunciazione dei capitoli di prova, che si riferivano alla generica ricostruzione della dinamica del gesto fisico che avrebbe causato l’infortunio.

Parimenti congrua viene considerata la motivazione di secondo grado sull’irrilevanza della prova in riferimento al secondo episodio (otite cronica).

Il fatto che il comandante custodisse personalmente il telecomando del condizionatore, è una misura di sicurezza più che sufficiente e, quindi, non si poteva ragionevolmente ritenere che l’otite fosse addebitabile al datore di lavoro.

Non sussiste, pertanto, la dedotta incoerenza e illogicità della decisione di appello e il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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