Una sentenza della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sull’impiego del collare antiabbaio al cane e sulle conseguenze del suo utilizzo

Chi decide di imporre il collare antiabbaio al cane rischia di integrare il reato di maltrattamenti. Lo ha stabilito la terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 3290/2018.

Secondo i giudici, l’impiego di questo collare – che produce una scossa elettrica ogni volta che l’animale abbaia – configura il reato ex art. 727 c.p.

Nel caso di specie, un uomo veniva condannato alla pena di 800 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 544 ter c.p., derubricato poi in art. 727 c. 2 c.p., per il maltrattamento dei propri cani.

Nel caso in esame, i cani venivano detenuti con collari aventi la caratteristica di emanare scosse elettriche all’abbaiare. Il tutto in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di sofferenze.

Secondo il padrone, invece, i cani erano stati trovati in buona salute. Pertanto, la sentenza andava annullata per inosservanza od erronea applicazione della legge penale.

Il padrone sosteneva che mancasse “il requisito essenziale costituito dalle lesioni, che ha giustificato la derubricazione nell’ipotesi contravvenzionale – e mancando – comunque la prova che l’avere apposto i collari antiabbaio costituisca condotta incompatibile con la natura dei cani o che abbia recato loro sofferenze, essendo evidente che i collari servivano ad evitare che fosse provocato disturbo ai vicini”.

Inoltre, la Cassazione ricorda che, riguardo al reato x art. 727 c.p., la giurisprudenza afferma quanto segue.

“Ai fini dell’integrazione degli elementi costitutivi, non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull’animale, né che quest’ultimo riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti”.

Non solo. “Integra il reato di cui all’art. 727 c.p. – scrive la Cassazione – in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale”.

I giudici affermano inoltre che “è stato precisato che costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione”.

È bene ricordare che per “abbandono” si intende non solo la condotta di distacco volontario dall’animale. Ma, ricordano i giudici, anche comportamenti colposi improntati a indifferenza o inerzia.

Nel caso di specie, dunque, i giudici di merito hanno agito correttamente. Per tali ragioni, la condanna è confermata.

 

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