Condannato per mobbing il Comune di Reggio Calabria. Il dipendente è stato privato delle sue mansioni, isolato e inattivo per più di un anno.

Per un interessante caso di diritto del Lavoro, è stato condannato per mobbing il Comune di Reggio Calabria. Di questo caso si è occupata la Cassazione, con la sentenza n. 2142 del 27 gennaio 2017.
Nella fattispecie, si tratta della vicenda che vede protagonista un dipendente comunale, con la mansione di vigile urbano. Secondo la Corte d’Appello, che ha valutato con attenzione il caso, l’uomo sarebbe stato vittima di una serie di atti riconducibili al mobbing.
Si tratta del reato che implica una serie  condotte vessatorie poste in essere dal datore di lavoro a fini persecutori, talmente gravi da causare un danno alla salute per il lavoratore. Per tanto il giudice aveva condannato il Comune di Reggio Calabria al risarcimento del danno cagionato al lavoratore.
Secondo le testimonianze raccolte nel corso del processo, il Comune avrebbe privato il dipendente persino di una scrivania, costringendolo a stare in piedi nel corridoio. Il lavoratore sarebbe stato, inoltre, isolato e le sue mansioni svuotate perché ritenuto inidoneo.
Tuttavia, all’uomo è stato affidato lo svolgimento delle pratiche cimiteriali, e il camposanto è diventato la sua postazione fissa. Lì il Comune di Reggio ha individuato la sede stabile del lavoratore, presso gli uffici cimiteriali.
Secondo la Corte d’Appello, l’atteggiamento posto in essere dal Comune di Reggio, è ritorsivo ed implica un messaggio molto chiaro, di tipo “mobbizzante”. Destinato direttamente al lavoratore ed indirettamente ai terzi.

La condanna del Comune di Reggio Calabria per mobbing

Di fatto, l’atteggiamento del Comune sarebbe sorto in seguito alle “rimostranze”, poste in essere dall’uomo, “prima in sede extragiudiziaria e poi giudiziaria, in presenza di determinazioni datoriali che egli riteneva illegittime, reagendo anzichè acquietarsi e subirle passivamente”.
Dopo essere stato condannato per mobbing il Comune si è rivolto alla Corte di Cassazione per ottenere l’annullamento della sentenza, i giudici hanno rigettato il ricorso. Di fatto, a giudizio della Corte, la fattispecie in questione contiene tutti gli elementi che caratterizzano il mobbing.
Questi sarebbero “una serie di comportamenti di carattere persecutorio che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi”.
 
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