Per gli Ermellini, preliminarmente, occorre analizzare l’istituto della “responsabilità aggravata”.

Con la ordinanza ordinanza n. 15209/2018 della Corte di Cassazione, i giudici hanno fornito chiarimenti riguardo ai danni punitivi da lite temeraria.

Prima di tutto, però, occorre una premessa.

A riguardo, la disposizione codicistica sancisce quanto segue.

“Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza. Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente”.

“In ogni caso – si legge . quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

Questa norma, però, risente dell’esigenza del necessario contemperamento che deve esserci tra i principi del libero accesso alla giustizia e il principio del giusto processo.

In relazione all’art.96 c.p.c. è bene ricordare che questo è stato ideato dal legislatore per salvaguardare il processo da ogni suo abuso.

Tale articolo, va accostato al principio di auto-responsabilità delle parti e alla professionalità dell’avvocato che, anche per doveri di lealtà e probità, dovrebbe sconsigliare vivamente -rectius impedire- al suo assistito di intraprendere azioni temerarie o resistere in giudizio a fini meramente oppositivi/dilatori. Questo anche per evitare in seguito danni punitivi da lite temeraria, naturalmente.

Infatti, la sanzione del suddetto articolo che il giudice commina quando ne ravvisa gli estremi di legge è punitiva.

A riguardo, la Cassazione (sentenza n° 16601 del 2017) ha affermato che non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto dei risarcimenti c.d. punitivi. E questo pur ammettendone pacificamente la loro esistenza e il loro impiego a scopo dissuasivo.

Questa pronuncia offre poi dei criteri atti a rilevare la responsabilità aggravata.

Essa richiede la presenza di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di un abuso del processo. Oltre, naturalmente, nell’evidenza di non poter vantare alcuna plausibile aspettativa nel procedimento.

Quali sono i doveri dell’avvocato

Quest’ultimo punto ha suscitato delle polemiche. Il dovere/onere del legaledi evitare causa “temerarie”, a detta di alcuni, sarebbe un “ennesimo” aggravio ai doveri e alle responsabilità del difensore.

Ma non tutti la pensano così, dal momento che per molti chiedere uno sforzo valutativo all’avvocato è fondamentale.

In buona sostanza, il professionista sarà chiamato a contemperare gli interessi della parte assistita con quelli del sistema giudiziario (e quindi della collettività) in quanto l’interesse individuale è recessivo rispetto all’interesse collettivo.

Quanto alla responsabilità del professionista viene a configurarsi verso il proprio assistito. Un aspetto che non discende dal contributo interpretativo della Suprema Corte, bensì dall’art. 88 c.p.c..

Esso, come noto, pone in capo alle parti e ai loro difensori un dovere di lealtà e probità, che in caso di comportamento processuale in contrasto con l’art. 96 c.p.c. può pacificamente ritenersi violato.

Dunque, chi lavora con il processo, non può che essere sanzionato qualora ne abusi e nessun richiamo in capo alle parti può giustificare una loro piena e diretta responsabilità.

 

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