La Corte di Cassazione ha ritenuto assolto l’onere probatorio a carico di una operaia, impiegata in una impresa di pulizie, della riduzione alla capacità di guadagno conseguita all’incidente stradale in cui era rimasta vittima, riportando lesioni ad una mano

La vicenda

Mentre attraversava a piedi la strada, l’attrice veniva investita da un veicolo guidato dal convenuto e assicurato dalla compagnia citata in giudizio; a causa dell’urto, subiva lesioni alla mano sinistra con una invalidità permanente del 17%.

In primo grado il Tribunale ritenne di risarcire il danno alla salute comprendendovi altresì, quello incidente sulla capacità di guadagno, e ciò facendo proprie le conclusioni del consulente tecnico secondo cui la lesione alla mano sinistra avrebbe consentito alla danneggiata di mantenere il livello di reddito inalterato, ma lavorando con maggiore sforzo.

Su questo punto, la ricorrente aveva proposto appello incidentale, al fine di contraddire l’idea che l’invalidità permanente dovuta all’incidente potesse essere assorbita nel danno biologico, nei termini prospettati dal tribunale, ed avanzando invece, la tesi che la lesione avesse determinato una riduzione effettiva dei guadagni, e dovesse, perciò, rilevare come danno patrimoniale da lucro cessante.

Ma la corte di appello disattese questa tesi, ribadendo le valutazioni fatte in primo grado dal Tribunale. In particolare, escluse la prova del nesso causale, ossia la prova che la contrazione dei guadagni potesse riferirsi alla lesione alla mano sinistra, ritenendo che la ricorrente non avesse fornito prova di sorta, e che, per contro, v’era in atti la consulenza tecnica secondo la quale la lesione non avrebbe inciso sulla misura dei guadagni, ma sullo sforzo lavorativo per mantenerli inalterati.

Secondo la corte di merito, la valutazione del CTU non sarebbe stata contestata dalla ricorrente, con la conseguenza che essa dovesse, perciò, ritenersi vincolante.

Il giudizio di legittimità

Dal giudizio erano emersi alcuni dati indiscussi: che la danneggiata aveva riportato una invalidità permanente del 17% alla mano sinistra; che la medesima danneggiata lavorava come operaia in una impresa di pulizie; che a sostegno dell’incidenza di tale lesione sui suoi guadagni aveva depositato sia il CUD che le buste paga.

Ebbene, tanto è bastato ai giudici della Terza Sezione Civile della Cassazione (sentenza n. 21988/2019) per affermare l’infondatezza della tesi sostenuta dai giudici di merito secondo cui la ricorrente non aveva assolto all’onere della prova a suo carico, ed anzi, avesse prestato acquiescenza alle risultanze della CTU.

È principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui il danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa specifica, derivante da lesioni personali, debba essere valutato, in quanto danno futuro, su base prognostica anche a mezzo di presunzioni semplici, salva la determinazione equitativa, in assenza di prova certa, del suo ammontare (Cass. 20003/ 2014).

L’onere della prova può, pertanto, dirsi assolto anche allegando elementi utili a costituire una presunzione, salvo che per quel fatto la legge non imponga una prova privilegiata o esclusiva.

La pronuncia della Cassazione

Tale regola, per i giudici della Suprema Corte si attaglia perfettamente al caso di specie, in ragione del costante orientamento di legittimità secondo cui “il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima già svolga un’attività lavorativa.

Tale presunzione, peraltro, copre solo l'”an” dell’esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione de danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito”.(Cass. 15737/ 2018; Cass. 11361 / 2014).

Ebbene, era evidente che la corte di merito non avesse fatto corretta applicazione dei citati principi di diritto, escludendo che la prova della diminuzione dei guadagni potesse affermarsi per presunzione semplice dalla entità (non minima) delle lesioni riportate, unitamente ad altri fatti noti allegati dalla parte, quali le buste paga e il mutamento del rapporto da tempo pieno a tempo parziale, elementi senza dubbio, comprovanti la riduzione dei guadagni.

Per tutti questi motivi, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla corte territoriale, in diversa composizione, perché rivaluti la prova del nesso causale tra la lesione riportata e la perdita dei guadagni, alla luce degli elementi presuntivi addotti dalla ricorrente, e segnatamente della entità della lesione e delle buste paga.

La redazione giuridica

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