Erano accusati di imperizia, negligenza e imprudenza per la mancata diagnosi della malattia di un paziente, poi morto per un tumore al colon retto

Rischiavano di finire a giudizio con l’imputazione di omicidio colposo per il decesso di un paziente, morto per un tumore al colon retto nel 2012. Per quattro medici di una clinica della provincia di Avellino, invece, la vicenda si è conclusa nel migliore dei modi, con il proscioglimento da ogni accusa.

L’indagine era stata avviata dopo che il figlio della vittima si era rivolto alla Procura sospettando possibili responsabilità sanitarie per la morte del padre 74enne.

Il sostituto procuratore del Tribunale del capoluogo irpino, titolare del fascicolo, aveva ipotizzato una condotta imperita, negligente e imprudente da parte degli indagati. Come riporta Ottopagine, i sanitari erano accusati di non aver trasferito in tempo il paziente che avevano in cura presso una struttura di alta specializzazione.

Più specificamente, secondo gli inquirenti, i medici  non avrebbero realizzato nel 2011 una tac colonscopica virtuale causando un ritardo nella diagnosi della neoplasia.

Tale omissione avrebbe impedito l’esecuzione immediata di interventi chirurgici o di una terapia mirata come la chemioterapia. Le condizioni del paziente, quindi, erano peggiorate sino al decesso, evento per il quale, dunque, il personale non sarebbe stato esente da colpe.

La difesa, tuttavia, è riuscita a dimostrare l’infondatezza delle accuse. I legali, con il supporto delle consulenze di parte, hanno dimostrato la correttezza dell’operato dei loro assistiti. I professionisti, infatti, avrebbero seguito tutto il protocollo previsto per il trattamento della patologia da cui era affetto il paziente.

Nel corso dell’udienza preliminare, quindi, il Gup ha respinto la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dall’accusa. Per il Giudice, dunque, la mancata diagnosi della neoplasia non può essere ricondotta all’imperizia e negligenza dei sanitari.

 

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