La Cassazione ha fornito chiarimenti sul caso in cui ossessionare la ex moglie con la scusa del figlio si configuri come reato di stalking

Cosa rischia chi decide di ossessionare la ex moglie con la scusa del figlio? Si può essere accusati di stalking?
La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la sentenza n. 49216/2017 ha fornito importanti precisazioni sul punto.
Per i giudici, infatti, ossessionare la ex moglie con la scusa del figlio costituisce un tipo di ingerenza che può costare una condanna per stalking.
Questo quando si traduce in un modo per sfogare un semplice risentimento personale.
Nel caso di specie, i giudici hanno condannato un uomo a risarcire la ex moglie per reato di atti persecutori nei suoi riguardi.

L’uomo continuava a ossessionare la ex moglie con la scusa del figlio, esortandola a prendersene cura con continue telefonate e appostamenti.

Comportamenti che, per la difesa, erano solo tentativi di convincere la donna a prendersi cura del figlio con problemi.
Ma che, per la Cassazione, erano solo un modo per scaricare sulla ex l’astio per l’inizio della relazione di lei con un altro uomo.
Davanti ai giudizi di legittimità, il ricorrente ha sostenuto che la sua “ossessiva” ingerenza nella vita della ex moglie sarebbe nata solo dalla volontà di sollecitare l’interesse della madre verso il figlio problematico.
Il figlio della coppia era infatti rimasto con l’uomo dopo l’allontanamento della donna dall’abitazione coniugale.

In realtà, per i giudici, la versione difensiva dell’uomo non era credibile. I suoi atteggiamenti – come delineato dai giudici di merito – erano infatti chiaramente persecutori.

Non solo. La sentenza non ha limitato affatto la condotta dell’uomo al solo episodio richiamato nel suo ricorso, ma ha fatto riferimento a continui messaggi e telefonate, nonché pedinamenti e stazionamenti sotto casa.
Inoltre, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale aveva dato conto del cambiamento delle abitudini di vita della donna.
Nel farlo, era stata richiamata la sentenza di primo grado nella quale veniva osservato che la ex moglie aveva dovuto limitare le uscite ed evitare la frequentazione di certi luoghi.
Sul punto non rileva, dunque, la doglianza circa il mantenimento dell’abitazione e del luogo di lavoro della donna nelle vicinanze dell’abitazione del ricorrente.
Quanto alla sussistenza del dolo, questa è apparsa dimostrata dal richiamo – ritenuto del tutto strumentale – alle esigenze del figlio problematico.
Questo perché era evidente che si trattasse di un pretesto per vendicarsi per l’abbandono subito.
 
 
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