I pazienti affetti da patologie croniche, secondo il Rapporto presentato da Cittadinanzattiva, chiedono più ascolto, liste di attesa meno lunghe e meno burocrazia

Oltre il 70% delle persone con patologie croniche non ritengono soddisfacente quanto si sta facendo per i percorsi di cura. In particolare vorrebbero che si tenessero in maggiore considerazione le difficoltà economiche e il disagio psicologico connessi alla patologia.

I pazienti, pertanto, chiedono cure più umane, ad esempio attraverso un maggior ascolto da parte del personale sanitario (80,5%), liste d’attese meno lunghe (75,6%), aiuto alla famiglia nella gestione della patologia (70,7%) e meno burocrazia (68,2%).

È quanto emerge dal XVI Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità “Cittadini con cronicità: molti atti, pochi fatti”. Il documento è stato presentato dal Coordinamento nazionale delle associazioni di malati cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva, con il sostegno non condizionato di MSD.

Al Rapporto hanno partecipato 50 associazioni di pazienti con patologie croniche (52%) e rare (48%) con l’obiettivo di verificare il rispetto del Piano nazionale delle cronicità.

Il 35,7% delle associazioni ritiene che non si faccia prevenzione.

Oltre il 73% denuncia ritardi nella diagnosi, imputabili alla scarsa conoscenza della patologia da parte di medici e pediatri di famiglia (83,7%), sottovalutazione dei sintomi (67,4%), mancanza di personale specializzato e di centri sul territorio (58%).

La quasi totalità delle associazioni (95,8%) denuncia poi una integrazione tra assistenza primaria e specialistica del tutto carente. Sarebbe insufficiente, inoltre, anche la continuità tra ospedale e territorio (65,1%) e l’assistenza domiciliare (45,8%).

Laddove esistono i PDTA, solo la metà delle persone si sente realmente inserita in un percorso di cura. Ma quando il PDTA si traduce in azioni concrete, gli effetti positivi non mancano: prenotazione automatica di visite ed esami (50%), meno costi diretti (28,5%), diminuzione delle complicanze (21,4%).

L’emanazione dei nuovi Lea, per oltre il 55%, non ha prodotto cambiamenti rilevanti per la propria patologia. Ciò in quanto, in oltre un quarto dei casi (26,2%), di fatto non è stato attuato quanto previsto dalla legge.

In tema di assistenza ospedaliera, la metà denuncia lunghe liste di attesa per essere ricoverato, la distanza dal luogo di cura, la mancata predisposizione della dimissione protetta. Sul territorio, le carenze sono evidenti: al primo posto i tempi di attesa, segnalati dal 90%, per accedere alle strutture riabilitative, alle lungodegenze o RSA, alle strutture semiresidenziali.

Non va meglio per l’assistenza domiciliare. In questo caso, infatti, il numero di ore di assistenza erogate risulta insufficiente (61,9%). Manca, inoltre, l’assistenza psicologica e quella di tipo sociale (57,1%) è di difficile attivazione e spesso viene negata (52,3%).

Per quanto riguarda l’assistenza farmaceutica, in cima ai problemi si trova la spesa economica per farmaci in fascia C (62%). A seguire, la limitazione di prescrizione da parte del medico di medicina generale (58,6%) e la difficoltà nel rilascio del piano terapeutico (48,2%).

A detta dell’81,5% delle associazioni, i bisogni psicosociali non vengono presi in considerazione.

Per il 73,8% la persona, il familiare e il caregiver non vengono coinvolti né sostenuti dal punto di vista educativo e formativo.

Infine, fra i principali costi sostenuti privatamente dai pazienti e dalle loro famiglie, figurano: l’adattamento dell’abitazione, la retta per le strutture residenziali o semiresidenziali, il costo per la badante.

 

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