La Cassazione esamina il caso di una psicoterapeuta accusata di condotte professionali esitate in forme di disturbo mentale di un paziente minore

In tema di lesioni personali, costituisce “malattia” qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo, ancorché localizzata, destinata a perdurare fino a quando sia in atto il suddetto processo di alterazione. Essa può riguardare sia la sfera fisica della persona, sia quella psichica. Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato da una psicoterapeuta accusata del reato disciplinato dall’art. 582 del codice penale. Tale disposizione normativa fa espresso riferimento al concetto di malattia “nella mente”.

Secondo la giurisprudenza tale patologia è quella che comporta offuscamento o disordine, ma anche indebolimento, eccitamento, depressione o inerzia dell’attività psichica. Il tutto con effetto permanente o temporaneo.

Nel caso in esame l’imputata, secondo i giudici del merito, non aveva correttamente fatto applicazione delle regole cautelari di diligenza, prudenza e perizia nello svolgimento della sua attività professionale. In base all’ipotesi accusatoria la professionista era responsabile di aver assecondato ed avallato le finalità perseguite dalla madre di un minore, allontanato dalla figura paterna.

Più specificamente aveva dato per scontato che il bambino avesse subito un abuso sessuale ad opera del padre. Inoltre aveva praticato una terapia errata e inadeguata sia sotto il profilo tecnico-psicologico, sia sotto quello deontologico-professionale. Tale condotta era esitata in forme di disturbo mentale del paziente, “con alterazioni a livello funzionale e comportamentale”.

Le argomentazioni poste a fondamento della condanna, tuttavia, secondo i Giudici del Palazzaccio erano monche sotto il profilo concettuale.

La Corte territoriale, infatti, non aveva fornito una compiuta risposta in ordine alla precisa diagnosi della malattia sofferta dal minore e alla sua durata. Pertanto la Suprema Corte, pur riconoscendo l’esistenza di evidenti errori nella terapia praticata dalla ricorrente, aveva ritenuto di accogliere il ricorso. La causa è stata quindi rinviata al giudice civile per il compimento delle indagini e degli approfondimenti volti ad accertare gli aspetti ritenuti dubbi dagli Ermellini.

Per un approfondimento del caso nonché sulla fattispecie della responsabilità penale dello psicoterapeuta e sulle sue differenziazione con quella più ampia della responsabilità medica si invita a leggere l’articolo “La responsabilità penale dello psichiatra-psicoterapeuta: confini labili” dell’Avv. Sabrina Caporale.

 

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