Dall’OMCeO di Roma un decalogo per ricostruire il rapporto di cura tra medico e paziente e scongiurare le violenze agli operatori sanitari

In Italia si verificano in media ogni giorno tre aggressioni agli operatori della salute. Solo nell’ultimo anno le violenze denunciate ammonterebbero a 1.200. Per Antonio Magi, presidente dell’OMCeO di Roma, “si è interrotto il rapporto di cura tra medico e paziente, e il problema oggi è ricostruirlo”.

A tal fine l’Ordine ha presentato, insieme all’Associazione Cittadinanzattiva, due campagne ‘Cura di coppia’ e ‘Prima di aggredire pensa’. Da queste è stato elaborato un decalogo, con vademecum, contenente i diritti e i doveri che devono rispettare i medici e i pazienti.

In particolare, tra i diritti del medico c’è quello di poter esercitare la propria professionalità, di essere rispettato, di non dover assecondare ogni richiesta. E ancora di essere informato dal cittadino e di poter lavorare nelle migliori condizioni. Il cittadino ha diritto ad avere il giusto tempo di ascolto, a ricevere informazioni comprensibili, a condividere percorsi di cura, a ricevere cure in sicurezza e a non soffrire inutilmente.

Per quanto concerne i doveri, i camici bianchi sono tenuti a rispettare, ascoltare, informare, ridurre o alleggerire la burocrazia, confrontarsi con altri professionisti e segnalare eventuali sprechi, rischi e disfunzioni.

I pazienti, a loro volta, non devono sostituire il web o il passaparola al medico. Si devono invece impegnare a collaborare con il medico, a rispettare le persone, gli ambienti e gli oggetti. Inoltre, anche i cittadini, sono chiamati a segnalare eventuali disfunzioni.

“Firmiamo questo protocollo d’intesa e puntiamo a rilanciare l’alleanza tra medico e paziente cominciando a parlarci tra noi”, ha affermato Magi all’Agenzia Dire. La parola chiave della violenza, secondo il presidente dell’Ordine della provincia di Roma, è la frustrazione. Si tratta di “quel sentimento che prova il paziente dopo aver atteso mesi per ottenere una prestazione”. O ancora, di “quella rabbia avvertita dai parenti che accompagnano il malato al Pronto soccorso, o arrivano in un secondo momento, e non riescono ad ottenere informazioni”.

 

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