Una sentenza emessa dalla Ctr del Veneto ha fornito precisazioni in merito alla deducibilità dal reddito di impresa dei premi delle polizze caso-morte

È possibile dedurre dal reddito di impresa i premi pagati per la stipula di polizze caso-morte?
A sciogliere questo nodo ci ha pensato la sentenza 1183/2/16 emessa dai giudici della Ctr Veneto, la quale sostiene che sì, sono deducibili dal reddito d’impresa i premi riguardanti quelle polizze a copertura del rischio dei pregiudizi patrimoniali derivanti dalla morte dell’amministratore.
Tali costi, infatti, devono essere considerati inerenti all’attività di impresa, come è stato evidenziato dal caso di specie preso in esame dai giudici.
Il caso in questione trae origine dall’impugnazione di alcuni atti di accertamento, i quali erano stati notificati per l’indebita deduzione dei premi corrisposti a una compagnia assicurativa per alcune polizze “caso morte a vita intera” aventi come assicurati i soci e come beneficiario la società.
In primo grado, i giudici avevano respinto il ricorso osservando che la polizza fosse di natura finanziaria e non fosse, invece, finalizzata alla copertura del rischio di morte dei soci. Con questa motivazione, i giudici avevano ritenuto che le somme versate alla compagnia non potessero rientrare tra i componenti negativi di reddito di impresa.
A quel punto la società aveva presentato appello e, i giudici di secondo grado, hanno accolto il ricorso. Questi ultimi, hanno infatti evidenziato che la classificazione del contratto assicurativo della polizza caso-morte dipendesse dalla causa prevalente che aveva portato alla sua stipula.
Ciò considerato, hanno ritenuto che l’accordo potesse a buon diritto rientrare tra i contratti di assicurazione sulla vita, dal momento che spostava dal contraente all’assicuratore il rischio di morte dell’assicurato. In particolare, i giudici hanno ritenuto sussistenti alcuni elementi che avevano portato a considerare la natura assicurativa del contratto.
Innanzitutto, l’alea del contratto che era rappresentata proprio dall’assunzione, da parte della compagnia, del rischio di morte dell’assicurato verso il pagamento dei premi. In questo era evidente che la compagnia si era obbligata alla prestazione pattuita al verificarsi dell’evento, e non alla restituzione di un capitale formatosi nel tempo.
Inoltre, la prestazione non risultava collegata a valori di quote di investimento, ma era predeterminata sulla base dei premi e della loro rivalutazione, in modo da sostituire ad un certo punto il versamento degli stessi premi. Vale a dire che, nel caso di specie, la prestazione non era collegata al rendimento di una gestione separata e il fatto di consentire una scelta fra varie linee di investimento del “fondo premi” formato dalla compagnia, non aveva nessuna attinenza nel caso in esame con la causa del contratto.
Insomma, la natura del contratto rimaneva assicurativa e non finanziaria, sebbene fosse previsto per legge il diritto di riscatto e di riduzione, valido anche per i contratti di assicurazione sulla vita, secondo l’articolo 1925 del Codice civile.
Infine, i giudici hanno sostenuto che il capitale assicurato incassato dalla società alla morte dell’assicurato era stato fatto concorrere alla determinazione del reddito di impresa e che, per tale ragione, i premi pagati dovessero considerarsi costi inerenti all’attività di impresa e non, di certo, crediti nei confronti della compagnia assicurativa.
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