La Corte dei Conti non tenuto conto delle argomentazioni della difesa secondo cui, nonostante la mancanza dei titoli, il medico aveva operato con successo portando vantaggi all’Azienda ospedaliera presso cui era assunto

Ha trascorso oltre 29 anni in corsia fino a raggiungere un ruolo dirigenziale di primo piano. Peccato che, in seguito ai controlli effettuati sulle autocertificazioni presentate dai dipendenti all’atto dell’assunzione, sia emerso che il medico, specializzato in chirurgia plastica della mano, non aveva in realtà alcun titolo per esercitare la professione. Falso il certificato di laurea, così come il certificato di abilitazione professionale e l’iscrizione all’Ordine dei medici provinciale di Pavia.

Dal 1986 al 2015, prima che venisse smascherato, nessuno si era accorto di nulla. Ma ora il camice bianco, prima sospeso e poi licenziato per giusta causa dalla struttura presso cui era stato assunto, dovrà restituire tutti i compensi illecitamente incassati nel corso della sua trentennale carriera. Lo ha stabilito la Corte dei Conti della Lombardia, che ha quantificato il risarcimento da versare all’Azienda ospedaliera in una cifra di poco superiore al milione di euro, per l’esattezza 1.069 milioni.

La decisione dei giudici, infatti, non ha ritenuto valide le tesi presentate in udienza dai legali del ‘camice bianco’. Tra le argomentazioni portate dalla difesa c’era anche quella che puntava sui presunti ‘vantaggi comunque percepiti dalla pubblica amministrazione’ per un’attività lavorativa espletata con successo e riconosciuta sul campo nonostante la mancanza di qualsiasi titolo.

A fronte di tale linea la Corte contabile ha tuttavia sottolineato nel verdetto che “il possesso dei requisiti culturali e professionali si pone come necessaria premessa per l’utile svolgimento dell’attività, in assenza del quale il sinallagma tra prestazione e retribuzione deve considerarsi irrimediabilmente e integralmente mancante”.

 

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