La vittima aveva commesso plurime violazioni di regole cautelari, ma il rispetto dello stop da parte dell’imputato avrebbe certamente impedito l’evento

Si era immesso su una strada provinciale senza rispettare il segnale di stop all’incrocio. La manovra aveva determinato la collisione con un’altra vettura, il cui conducente era morto in seguito al sinistro.

L’uomo, condannato dai Giudici del merito per omicidio colposo, aveva presentato ricorso davanti alla Suprema Corte di Cassazione. A suo dire la responsabilità dell’incidente sarebbe stata della stessa vittima. Come accertato nei primi due gradi di giudizio, infatti, la persona offesa aveva commesso plurime violazioni di regole cautelari.

Si trattava di un soggetto privo di patente, affetto da Alzheimer e da schizofrenia. Inoltre, stava percorrendo il tratto di strada interessato dal sinistro a una velocità stimata in 90 km/h, superiore al limite di 50 km/h. Il tutto, peraltro, con fari spenti nonostante l’orario serale.

Pertanto, secondo l’imputato, appariva indiscutibile l’assoluta interdipendenza tra il sinistro stradale e la condotta della vittima.

Sarebbe stata poi illogica e carente la motivazione relativa “alla ritenuta compatibilità tra l’affermata sussistenza di nesso eziologico in ambedue le condotte dei soggetti in causa e l’acclarata prevedibilità ed evitabilità assolute dell’evento solo con riferimento alla condotta della persona offesa”.

La Cassazione, con la sentenza n. 27395/2018, non ha ritenuto tuttavia di aderire alle argomentazioni proposte, respingendo il ricorso il quanto infondato.

Secondo gli Ermellini, la Corte territoriale aveva ricostruito il fatto e valutato la responsabilità dell’imputato sulla base di un iter motivazionale congruo e razionale.

Per i Giudici del Palazzaccio, il comportamento alternativo lecito dell’imputato, ovvero il fermarsi allo stop, avrebbe certamente impedito l’evento. Invece, non rispettando il segnale, l’automobilista aveva determinato l’incidente, a prescindere dalla colpa concorrente della vittima.

L’automobilista deceduto, come appurato in sede di merito, procedeva con un’andatura diritta. Aveva anche azionato i freni per cercare di evitare l’impatto, segno di una condotta di guida “regolare”.

Inoltre, la condotta tenuta dalla vittima, sia pure colposa, non era tale da interrompere il nesso causale tra la condotta del prevenuto e l’evento. Il suo comportamento, infatti, non era da ritenersi eccezionale e atipico, non previsto né prevedibile, o comunque da solo sufficiente a produrre l’incidente stradale.

 

Leggi anche:

REATO DI OMICIDIO STRADALE: SI AVVICINA ESAME DI COSTITUZIONALITÀ

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui