Qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di alienazione parentale, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, comprese le presunzioni

La vicenda

A seguito della separazione giudiziale tra due coniugi, la corte d’appello di Venezia aveva confermato la decisione primo grado che aveva disposto l’affidamento del minore in via esclusiva al padre, previo immediato allentamento dalla casa ove viveva con la madre e collocazione dello stesso, per un semestre, presso una comunità dedita alla cura e al sostegno dei minori in Treviso, stabilendo per il periodo successivo la collazione esclusiva presso l’abitazione paterna.
La ragione di siffatta decisione derivava dal giudizio, condiviso dai giudici di merito, espresso dal c.t.u. riguardo alla madre del minore, definita un “soggetto anelastico, scarsamente propensa a mettersi in discussione, … caratterizzato da un atteggiamento preconcetto”, e scarsamente collaborativo.
Tale atteggiamento aveva inciso nella determinazione della c.d. alienazione parentale del figlio nei confronti del padre.
La donna –si legge nella sentenza impugnata – aveva attuato un preciso «progetto di esclusione del genitore alienato, mediante la sostituzione del padre biologico con il nonno materno». Ed infatti nel minore era stato riscontrato un atteggiamento di completo rifiuto nei confronti del padre.
In tale contesto, la corte d’appello aveva ritenuto il rischio si incorresse in una violazione del principio di bigenitorialità, venendo privato il minore, al di fuori di cause giustificatrici, dell’apporto affettivo e culturale che l’altro genitore poteva recare al figlio; cosicché il provvedimento temporaneo, di affidamento del minore in via esclusiva al padre risultava necessario al fine di porre le condizioni per la concreta attuazione del principio di bigenitorialità come pure la temporanea interposizione di un soggetto terzo, quale la struttura residenziale dedicata alla cura ed al sostegno del minore.

Il giudizio sull’alienazione parentale

I giudici della Cassazione hanno ribadito che, in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere d cooperare nella sua assistenza, educazione e istruzione (Cass. n. 18817/2015; n. 22744/2017).
In una recente pronuncia, peraltro, la Cassazione (Cass. n. 6919/2016), ha affermato, con riguardo ad un’ipotesi di alienazione parentale, il seguente principio di diritto: «in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena» .
Il giudice di merito, a tal fine, può utilizzare i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia (incluso l’ascolto del minore) e anche le presunzioni (desumendo eventualmente elementi anche dalla presenza, laddove esistente, di un legame simbiotico e patologico tra il figlio e uno dei genitori).

La decisione

Ebbene, nel caso in esame, la corte d’appello aveva motivato sulle ragioni del rifiuto del padre da parte del figlio ed avevano dato rilevo ad alcuni comportamenti della madre, ritenuti come unicamente volti all’allontanamento fisico e morale del figlio minore dall’altro genitore; ma non avevano tuttavia, spiegato per quale ragione l’affidamento in via esclusiva al padre, previo collocamento temporaneo dello stesso in una comunità o casa – famiglia, fosse l’unico strumento utile ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed ad assicurare al medesimo assistenza e stabilità affettiva, sempre nell’ottica di assicurare l’esercizio del diritto del minore ad una effettiva bigenitorialità.
La decisione di escludere, per un semestre, la madre dalla vita del figlio non è stata perciò, condivisa.

La redazione giuridica

 
Leggi anche:
MATERNITA’ SURROGATA: GENITORIALITA’ NEGATA AD UNA COPPIA OMOSESSUALE

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui