Ambulanza della morte, il barelliere arrestato non risponde al gip sui 10 casi di morte sospetta. Due barellieri sono ancora in libertà.

Si è avvalso della facoltà di non rispondere Davide Garofalo, il barelliere dell’ ambulanza della morte, arrestato dai carabinieri di Catania con l’ accusa di omicidio volontario.

Due barellieri dell’ambulanza della morte sono ancora in libertà

In carcere a piazza Lanza, assistito dal suo legale, Garofalo è rimasto in silenzio dinanzi al gip Santino Mirabella. Intanto nell’inchiesta in cui le vittime sono almeno dieci su cinquanta casi accertati di iniezioni letali con l’aria in pazienti moribondi emergono nuovi particolari.
Intercettati dai carabinieri i barellieri senza scrupoli parlano tra loro ed emergono dettagli davvero raccapriccianti: “Questo è stato duro a morire, gli ho dovuto fare più punture”.

Un altro invece commenta: “Sto velocizzando il lavoro, tanto questa tra qualche ora muore lo stesso”.

E così per gli investigatori che ascoltano il quadro d’insieme è sorprendentemente chiaro: sulla lettiga dell’ambulanza gli uomini scelti dalla mafia di Biancavilla e Adrano non vedevano, nelle persone in fin di vita con il desiderio di arrivare a casa loro ed essere circondate dall’affetto dei familiari per l’ultimo respiro, moribondi con cui fare un sacco di soldi. Dal trasporto alla vestizione delle salme al funerale.
I compensi andavano dai 200 ai 300 euro. Era questa la somma che guadagnavano per ogni funerale procurato con un’iniezione di aria nelle vene a malati terminali, che erano stati dimessi dall’ospedale Maria Santissima Addolorata proprio per consentire loro di vivere gli ultimi momenti nel conforto di casa e da quello di Paternò.
Collaudato il modus operandi dei barellieri della cosiddetta ambulanza della morte. I malati venivano caricati nell’ambulanza e nel breve tragitto dall’ospedale all’abitazione veniva iniettata aria nelle vene fino a provocare la morte per embolia gassosa.
Chi ha collaborato con i magistrati catanesi racconta: “Prima di iniettare l’aria in vena, abbassavano il lenzuolo, alzavano leggermente la manica del braccio dove vi era l’ago della flebo. Venivano sempre usati guanti in lattice che insieme alla siringa venivano poi gettati nel contenitore apposito”. Forse per evitare eventuali impronte digitali.
 
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