È ammesso riconoscere l’assegno divorzile non soltanto nel caso in cui l’ex coniuge economicamente più debole non disponga di mezzi adeguati alla propria sussistenza, ma anche nell’ipotesi in cui egli abbia sacrificato le proprie aspettative professionali nell’ambito di un progetto concordato di indirizzo familiare

Il principio diritto espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione è stato ribadito dal Tribunale di Vicenza il quale ha negato l’assegno di divorzio alla richiedente perché, nel corso del giudizio, non era emerso alcun sacrificio alle proprie aspettative professionali per occuparsi delle faccende domestiche o della cura dei propri familiari.

La vicenda

Nel 2013 aveva depositato ricorso dinanzi al Tribunale di Vicenza per chiedere la cessazione degli effetti civili del matrimonio dalla propria moglie col quale aveva avuto anche una figlia.

L’uomo chiedeva che non gli fosse riconosciuto a quest’ultima alcun assegno di mantenimento e in più voleva l’assegnazione della casa coniugale.

La donna si era, nel frattempo costituita in giudizio, aderendo alla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio ma chiedendo la previsione di un contributo al proprio mantenimento pari ad euro 700 mensili.

La domanda di cessazione della relazione coniugale veniva accolta. I coniugi erano, infatti, già legalmente separati in virtù di un titolo definitivo emesso dallo stesso Tribunale veneto.

Non restava, dunque, che concentrarsi sulle richieste accessorie.

Quanto alla domanda di assegnazione della casa coniugale al ricorrente, il giudizio è stato netto: tale istanza è stata ritenuta infondata.

Ed infatti, è previsto che tale istituto sia riconosciuto esclusivamente a tutela dei figli minori o economicamente non autosufficienti. Situazione che certamente non ricorreva nel caso in esame, posto che la figlia era maggiorenne, viveva la sua vita di coppia col proprio compagno ed era addirittura diventata mamma.

Ma anche la richiesta avanzata dalla resistente al fine di ottenere un contributo per il proprio mantenimento è stata rigettata.

Con la fondamentale sentenza n. 18287/2018 le Sezioni Unite della Cassazione hanno ridefinito la funzione e la struttura dell’assegno divorzile alla luce dell’attuale contesto sociale, sancendo che: “il riconoscimento dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898/1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e, dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive (…) i quali costituiscono i parametri cui occorre attenersi per decidere sa sulla attribuzione sia sulla qualificazione dell’assegno.  

Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economiche-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione di vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto”.

Inoltre, “all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge va riconosciuta anche natura assistenziale che discende direttamente dal principio costituzionale di solidarietà e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolar modo tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”.

A tal riguardo – hanno chiarito le Sezioni Unite – occorre specificare che “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi non è finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.

Assegno di divorzio e sacrifici alla carriera professionale

Secondo l’interpretazione che ne ha fatto la Cassazione, dunque, nella determinazione del contributo di divorzio al coniuge richiedente, deve operarsi una comparazione tra le contrapposte situazioni reddituali e patrimoniali dei coniugi; cosicché l’assegno potrà essere riconosciuto non soltanto nel caso in cui l’ex coniuge economicamente più debole non disponga di mezzi adeguati alla propria sussistenza, ma anche, con funzione perequativa, nell’ipotesi in cui egli abbia sacrificato le proprie aspettative professionali nell’ambito di un progetto concordato di indirizzo familiare.

Insomma i vecchi criteri del “pregresso tenore di vita” e dell’”autosufficienza economica” hanno ceduto il passo al nuovo principio per cui il giudice deve verificare caso per caso, come si sia giunti a quella situazione patrimoniale e reddituale dei coniugi e se uno dei due abbia, nel corso della vita familiare, sacrificato in tutto o in parte le proprie potenzialità professionali o lavorative nel superiore interesse della famiglia; in tale ultimo caso, .questi avrà diritto a un contributo di mantenimento anche in caso di autosufficienza economica.

Ora, nel caso in esame il Tribunale Veneto aveva affermato che non basta dichiarare che la donna si sia sempre occupata delle faccende domestiche e della cura dei familiari e che all’epoca del matrimonio aveva una posizione occupazionale e un titolo di studio pari a quello del marito; ma bisogna in concreto verificare se tale scelta abbia comportato un sacrificio delle proprie aspettative di crescita professionale.

Circostanza quest’ultima che nel corso del giudizio non era stata provata. Dunque, niente assegno di divorzio per l’ex coniuge.

La redazione giuridica

 

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