La Cassazione ribadisce che il tenore di vita goduto prima del divorzio non può essere invocato come parametro per la determinazione dell’ assegno divorzile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14231/2018, si è pronunciata su un ricorso avente ad oggetto l’importo dell’ assegno divorzile riconosciuto a una donna disoccupata.

Il Tribunale, nel dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva disposto il pagamento mensile da parte dell’ex marito di una cifra pari a 200 euro. L’entità di tale somma era stata confermata anche in secondo grado

La donna aveva quindi deciso di impugnare la sentenza della Corte territoriale  davanti alla Suprema Corte di Cassazione. A suo avviso, il Giudice di appello, nel procedere alla valutazione delle condizioni economiche delle parti, non avrebbe tenuto conto della disparità delle rispettive posizioni.

La ricorrente lamentava, in particolare, di non essere in grado di “mantenere autonomamente il tenore di vita pregresso, essendo disoccupata e sfornita di redditi”.

La donna non aveva una qualifica professionale e non disponeva di una propria abitazione. La casa coniugale, infatti, era stata venduta da parte del marito.

La Cassazione, sesta sezione civile, ha ritenuto tuttavia di non aderire alle argomentazioni proposte, respingendo il ricorso in quanto infondato.

Gli Ermellini hanno evidenziato che “l’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente deve essere valutata con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica dello stesso”. Non si può quindi invocare il tenore di vita. E’ questo il più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità emerso dalle sentenze n. 23602/2017 e , n. 11504/2017.

“Anche a voler ritenere che, attraverso l’allegazione del proprio stato di disoccupazione e dell’indisponibilità di redditi propri e di un’abitazione, la ricorrente abbia inteso fare riferimento a tale diverso parametro, la censura – afferma la Suprema Corte – non può trovare ingresso in questa sede, risolvendosi nel richiamo ad elementi già presi in considerazione dalla sentenza impugnata, e quindi nella sollecitazione di un nuovo apprezzamento dei fatti”.

 

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