Secondo gli autori dello studio sul test genetico,  il 50-60% delle pazienti che presentano un tumore in fase iniziale alla mammella potranno evitare la chemioterapia senza compromissioni per la prognosi

Grazie a un test multi-gene sarà possibile individuare le pazienti affette da carcinoma della mammella in fase precoce alle quali si può risparmiare la chemioterapia: secondo quanto dimostra il trial di fase III PlanB del West German Study Group (effettuato su un gruppo di 3198 pazienti con età media 56 anni), infatti, il  94% delle donne che sono state valutate come a basso rischio di recidiva dal test 21-gene Recurrence Score ancora a distanza di cinque anni sono risultate sane.

Lo studio, unico nel suo genere, sfrutta il 21-gene Recurrence Score (RS) un test che si basa sull’analisi di 21 geni che risultano capaci di influenzare il comportamento del tumore e quindi la risposta alla terapia. I ricercatori hanno valutato i dati di sopravvivenza a 5 anni nelle pazienti con carcinoma della mammella in fase precoce, linfonodi positivi  (da 1 a 3) o negativi e con recettori ormonali positivi (HR+) o con malattia HER2 negativa.

“Il test RS ha fornito ulteriori e indipendenti informazioni prognostiche, oltre quelle date dai marcatori prognostici clinici. Questi sono i primi risultati a 5 anni di uno studio con disegno prospettico, che ha messo a confronto i fattori prognostici tradizionali (compreso il Ki67) con il test 21-gene RS. I nostri dati – sostiene Oleg Gluz, uno dei due coordinatori del West German Study Group – dimostrano che il test RS ha un impatto prognostico più importante dell’immunoistochimica, cioè dell’espressione recettoriale delle cellule tumorali e del Ki67, e dunque suggeriscono di incorporare il test RS, insieme a stato linfonodale, grading e dimensioni del tumore, nella pratica clinica quotidiana per guidare le decisioni terapeutiche.”

Il test che si esegue sul tessuto tumorale, al momento, permette di avere risultati in 8-10 giorni perché viene  effettuato presso un laboratorio centralizzato, ma l’implementazione sarebbe molto facile, sebbene i costi non risultino coperti dai servizi sanitari di tutti i Paesi. “Eppure molti studi hanno dimostrato – prosegue Gluz – che ha un buon rapporto costo-efficacia poiché consente un impiego più personalizzato e meno frequente della chemioterapia”.

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