L’infermiera Daniela Poggiali, dopo la condanna in primo grado all’ergastolo, è stata assolta dall’accusa di omicidio perché il fatto non sussiste

Assolta perché il fatto non sussiste. È stato questo il verdetto dei giudici per Daniela Poggiali, l’infermiera di Lugo – nel ravennate – che era accusata di aver ucciso una paziente 78enne con un’iniezione di cloruro di potassio. Una sentenza per certi versi inaspettata, perché ribalta completamente quella che, in primo grado, l’aveva condannata all’ergastolo. In appello, infatti, i giudici hanno deciso di assolverla e disporne l’immediata scarcerazione. Alla lettura della decisione della Corte di assise di appello di Bologna Daniela Poggiali ha esultato.
La donna era stata ribattezzata “l’infermiera killer” di Lugo e probabilmente in molti ricordano le sue immagini scattate con i pollici alzati e sorridente accanto al cadavere dell’anziana donna ormai deceduta. Nel processo di primo grado era stata riconosciuta colpevole per la morte – nell’aprile 2014 – della 78enne Rosa Calderoni. Per i giudici l’aveva uccisa con un’iniezione letale di cloruro di potassio. Nel marzo del 2016, poi, era stata condannata all’ergastolo, pur essendosi sempre proclamata innocente. Il giudice di Ravenna, Corrado Schiaretti, aveva scritto nelle motivazioni della sentenza che Daniela Poggiali era “fredda, intelligente e spietata. Nemmeno lei sa quanti pazienti ha ucciso” si leggeva. E si faceva riferimento agli altri – numerosi – casi di decessi sospetti avvenuti nella stessa struttura tra l’aprile 2012 e il novembre 2014.
Nella primavera scorsa, i giudici della Corte d’Appello avevano poi disposto una perizia medico-legale per accertare le cause della morte dell’anziana, dalla quale è emerso che non fosse possibile affermare che la 78enne fosse morta a causa delle patologie pregresse, fra cui diabete e problemi di cuore. Ma che il suo quadro clinico fosse “solo in parte compatibile” con una somministrazione di potassio a livelli letali.
In primo grado era stata decisiva la testimonianza della figlia dell’anziana, che aveva dichiarato come Daniela Poggiali fosse stata l’ultima a fare visita alla madre per somministrarle cure. La morte era poi avvenuta circa 60 minuti dopo. Per i periti nominati dalla Corte d’Appello però, questa tempistica era incompatibile con una somministrazione di cloruro di potassio a livello giugulare “che ne avrebbe causato l’immediato arresto cardio-respiratorio”. Nella seconda ipotesi, che ipotizzava una somministrazione avvenuta attraverso il piede, l’anziana donna avrebbe dovuto accusare forti dolori, circostanza non riferita dalla figlia. Resta il fatto che a 56 ore dal decesso il consulente dell’accusa trovò nell’umor vitreo della paziente valori di potassio sballati. Non abbastanza per i giudici della Corte d’Appello, per dire che è stato quello a ucciderla.
Daniela Poggiali si trovava in carcere dall’ottobre 2014.
“Mi hanno dipinto per quello che non sono – ha dichiarato all’uscita dal carcere Daniela Poggiali – e adesso mi riprendo in mano la mia vita”.
“Voglio riprendere la mia vita normale e tranquilla. Grazie a tutti e arrivederci. Mamma mia che fatica”, ha dichiarato prima di lasciare giornalisti e fotografi che l’attendevano fuori dalla Dozza verso le 20. Oltre a loro, c’erano le sorelle e l’ex fidanzato. Prima di andare via, Daniela Poggiali ci ha tenuto a sottolineare che i giudici di Bologna hanno capito ciò che quelli di Ravenna non avevano considerato: la verità. Le sorelle della donna, Barbara e Claudia, hanno dichiarato poi ai giornalisti: “Siamo contente di questo risultato che finalmente ha reso giustizia a nostra sorella, anche se quello che le hanno tolto non le potrà essere restituito”.
Di tenore diverso, comprensibilmente, il commento dell’avvocato di parte civile Maria Grazia Russo che rappresenta la famiglia della 78enne morta a Lugo, la quale ha espresso “un senso di grande dolore per la famiglia”. I due figli si erano invece allontanati mezz’ora prima che la Corte uscisse per il verdetto, per la tensione emotiva accumulata.
 
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