Decesso del lavoratore beneficiario di rendita INAIL (Tribunale Cosenza, Sez. Lavoro, Sentenza n. 1879/2021 del 27/10/2021-RG n. 5943/2018).

Decesso del lavoratore con rendita INAIL e reversibilità al coniuge superstite.

In caso di decesso del lavoratore beneficiario di rendita per malattia professionale, il coniuge superstite ha diritto al riconoscimento di una rendita di reversibilità ove tra l’originaria patologia e la morte del titolare del trattamento sussista un nesso di causalità idoneo a contribuire, quale concausa, al decesso medesimo, quantomeno determinandone l’anticipazione.

Quindi, solo in caso di collegamento eziologico tra il decesso e la malattia professionale si può discorrere di diritto del coniuge superstite alla reversibilità della rendita da malattia professionale.

Il coniuge, in qualità di erede del lavoratore deceduto, adisce il Tribunale ed espone che il marito, nello svolgimento delle mansioni di minatore in galleria, era stato esposto a silicio contraendo, a causa di tale circostanza, silicosi polmonare grave, malattia professionale per la quale l’INAIL gli aveva riconosciuto una rendita nel 1985.

Deduce che il coniuge è deceduto in data 27 -1- 2016 e che essendo pacifico il nesso tra decesso e malattia professionale, chiede di accertare e dichiarare la riconducibilità del decesso del coniuge alla malattia professionale (silicosi), onde beneficiare della reversibilità della rendita percepita dal coniuge deceduto.

L’INAIL nega e contesta il rapporto causale, o concausale, tra il decesso e la malattia professionale chiedendo il rigetto del ricorso.

Tuttavia, l’istruttoria non ha consentito di provare i fatti posti a fondamento della domanda, la quale viene rigettata.

La questione controversa concerne il diritto della ricorrente a percepire la rendita ai superstiti di cui all’art. 85 T.U. a seguito del decesso del coniuge.

L’art. 85 del T.U. n. 1124/1965 prevede che qualora l’infortunio (o la malattia professionale) abbia per diretta conseguenza la morte dell’assicurato, spetta a favore dei superstiti e nella misura per essi indicata, dal giorno successivo alla morte, una rendita rapportata alla retribuzione annua del lavoratore deceduto.

Al fine di ottenere la prestazione previdenziale in questione è necessario dapprima accertare l’esistenza di una malattia professionale e, poi, verificare il nesso di causalità tra la malattia professionale del lavoratore ed il suo decesso.

Il Tribunale evidenzia il principio giurisprudenziale, qui dà seguito, secondo cui “In caso di decesso del lavoratore titolare di rendita da malattia professionale, il coniuge superstite ha diritto al riconoscimento di una rendita di reversibilità ove tra l’originaria patologia e la morte del titolare del trattamento sussista un nesso di causalità idoneo a contribuire, quale concausa, al decesso medesimo, quantomeno determinandone l’anticipazione”.

Ebbene, il decesso del lavoratore sarebbe stato causato dalla malattia professionale da questi contratta per la esposizione alle polveri di silicio cui è stato sottoposto nell’ambito dello svolgimento delle mansioni di minatore addetto a lavori in galleria.

L’Inail sostiene, invece, che il decesso sia riconducibile in maniera causalmente esclusiva ad altra patologia (leucemia linfatica cronica a cellule B, diagnosticata nel 2007).

Il CTU ha escluso che il decesso del lavoratore sia dipeso, con certezza o elevata probabilità, dalla malattia professionale escludendo altresì che la tecnopatia si sia posta quale fattore accelerante per l’exitus, determinato da altra causa.

In altri termini, il CTU ha escluso che la silicosi abbia svolto un’efficacia causale o anche solo concausale sulla morte, evidenziando come le affezioni acute sofferte dal defunto si siano poste quale antecedente e necessario da solo sufficiente a causare il decesso.

Conseguentemente, il Tribunale conclude che la malattia professionale – in termini giuridici – degrada a mera semplice occasione, e richiama il principio giurisprudenziale secondo cui, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, trova applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, sicché va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni.

Pertanto, sulla scia dei consolidati orientamenti giurisprudenziali, la fattispecie costituiva del diritto alla rendita è data non solo dalla eziologia professionale della malattia, ma anche dal nesso di causalità tra la tecnopatia e la morte, il ricorso viene respinto per carenza di collegamento eziologico, come accertato dai CTU.

Avv. Emanuela Foligno

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