Realizzazione implanto protesica superiore e inferiore compromette la funzione masticatoria (Tribunale Crotone, Sentenza n. 283/2023 pubblicata il 13/04/2023).

Nel 2011 la paziente si rivolgeva allo Studio dentistico per “riabilitazione- realizzazione implanto protesica superiore e inferiore”, sottoponendosi a cicli terapeutici terminati nell’anno 2014, con corresponsione della somma di € 10.000,00 a titolo di acconto sul totale pattuito di € 12.500,00.

Tuttavia l’intervento comprometteva la funzione masticatoria con forti dolori diffusi  sull’osso mascellare e mandibolare e necessità di ricorrere quotidianamente a terapia antinfiammatoria cortisonica ed a tranquillanti per riposare.

Dalla perizia di parte emerge un rilevante danno alla salute in termini di danno biologico e danno temporaneo.

Invece, il Tribunale ritiene la domanda sprovvista di prova sulla circostanza che i due Odontoiatri convenuti abbiano compiuto prestazioni odontoiatriche sulla persona dell’attrice.   

Nella documentazione medica esibita da parte attrice, infatti, non vi è alcuna prova che la donna fu sottoposta a cure mediche ad opera dei dott.ri convenuti. Difatti, uno dei due disconosceva la scrittura privata di cui al fascicolo di parte, recante la data del 23.12.2013, con la quale si attestava che la paziente era stata sottoposta a cure odontoiatriche nello studio dentistico ed apparentemente a propria firma.

Facendo applicazione della previsione dell’art. 214 c.p.c., che dispone che “colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione”, l’Odontoiatra ha tempestivamente disconosciuto la scrittura prodotta nei suoi confronti mentre parte attrice non ha formulato istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c.

Neppure i testi sentiti hanno riferito circostanze utili sul punto.

Uno dei testi, in particolare, ha confermato la ricostruzione attorea, precisando di aver seguito la donna nel corso dell’iter medico cui si era sottoposta, ma la stessa ha dichiarato che non vi era una targa all’indirizzo dello Studio dentistico, e che aveva accompagnato la donna sia allo studio in Cotronei, che allo studio in Torre Melissa, ma senza precisare quali dottori lavoravano nei citati studi medici e senza menzionare neanche una volta L’Odontoiatra convenuto.  

Il C.T.U., dopo analisi della documentazione medica e della C.T.P., dichiara  “non possiede questo CTU gli elementi per formulare prudente risposta al giudice, in assenza di qualsivoglia informazione clinica documentale inerente agli interventi eseguiti (cartella e diario clinico), materiali e protesi adoperate (dichiarazioni marchi CE materiali ed impianti, dichiarazioni di conformità del produttore delle protesi dentali).”

Inoltre, il CTU nell’integrazione della perizia ha rilevato una grave difformità tra quanto presente nella documentazione precedentemente analizzata (che dava evidenza dell’installazione di una protesi fissa) e quella successivamente esibita, dalla quale si evinceva la presenza di una protesi mobile, il che contribuisce al alimentare i dubbi già sussistenti sul punto.

Per tali ragioni, il quadro probatorio conduce ad escludere la responsabilità dei dott.ri convenuti, con conseguente rigetto della domanda.

Spese di lite e di CTU compensate, le ultime a titolo solidale, le prime per la particolarità della vicenda.

OSSERVAZIONI

La compensazione delle spese di lite e di CTU decisa dal Tribunale lascia molto perplessi.

Non risulta dimostrato l’an della pretesa avanzata, ma non solo. I CTU nell’integrazione della perizia hanno evidenziato una grave difformità dei fatti tra quanto presente nella documentazione precedentemente analizzata (che dava evidenza dell’installazione di una “protesi fissa”) e quella successivamente esibita, dalla quale si evinceva la presenza di una “protesi mobile”, il che ha contribuito ad aumentare i dubbi sulla “bontà e veridicità” della domanda azionata.

Già tale circostanza avrebbe potuto essere sanzionata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., anche in assenza di apposita domanda delle controparti.

L’art. 92 c.p.c. prevede che il Giudice possa compensare le spese di lite ovvero, in caso di contumacia, lasciarle interamente a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, quando sussistano gravi ed eccezionali ragioni.

Ebbene, queste “ragioni”, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 19.04.2018, n. 77, non sono più limitate ai casi di soccombenza reciproca ovvero di assoluta novità della questione trattata, o mutamento della giurisprudenza, come stabilito dall’art. 13 del D.L. n. 132/2014. La deroga alla regola della soccombenza è ora consentita anche al di fuori delle ipotesi tipiche previste dalla norma censurata dai Giudici della Consulta, in presenza di analoghe gravi ed eccezionali ragioni desunte dalla peculiarità del caso concreto.

Il profilo necessita pur sempre di motivazione esauriente circa la sussistenza dei suddetti requisiti, pena la nullità della sentenza per violazione dell’art.132, comma 2, n. 4 c.p.c. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, tale violazione si verifica, in caso di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile” (Cass. n. 23940/2017; Cass. SS.UU. n. 8053/2014).

La nozione di “motivazione apparente” è stata ricostruita dai Giudici di legittimità per mezzo di una fitta serie di pronunce. Così, con l’arresto n. 22598/2018, è stata ritenuta viziata la sentenza che abbia compensato le spese motivando mediante il rinvio alla “complessità delle questioni affrontate dal tribunale, tale da rendere imprevedibile ex ante quale potesse essere l’esito della causa“. Un tale supporto argomentativo è stato valutato inidoneo a consentire l’individuazione delle questioni la cui complessità giustificherebbe l’esercizio del potere di compensare le spese di lite previsto dall’art. 92 c.p.c. Parimenti è stato escluso che potessero integrare ragioni gravi ed eccezionali “la complessità e la pluralità delle questioni trattate; semmai di tali parametri si può tener conto, in senso diametralmente opposto, al momento della liquidazione delle spese a favore della parte vittoriosa”.

Ancora, sussiste deficit motivazionale in ipotesi di richiamo a circostanze espresse con una formula generica, quali ad esempio “la natura della controversia e le alterne vicende dell’iter processuale” (Cass. n. 10042/2018; n. 22310/2017; n. 9186/2018); la “peculiarità della materia del contendere” (Cass. n. 11217/2016); “la buona fede dell’appellante pur soccombente” (Cass. n. 20617/2018). Si tratta di affermazioni di mero principio, ipoteticamente ricollegabili a qualsiasi procedimento e, pertanto, inidonee a consentire il necessario controllo.

Ebbene, gli Odontoiatri convenuti sono risultati totalmente vittoriosi. Non vi sono pertanto, a parere di chi scrive, quelle caratteristiche di gravità ed eccezionalità che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, giustificano la compensazione delle spese processuali.

La motivazione del Tribunale pare apodittica non lasciando comprendere in cosa si sostanzia “la particolarità della vicenda” per derogare alla regola posta dall’art. 91 c.p.c.

Avv. Emanuela Foligno

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